La procedura da adottare per il trattamento di un paziente ematologico, secondo questa “metodologia”, è la seguente. È prevista una prima fase, in cui il paziente viene sottoposto ad un regime farmacologico, che favorisce la mobilizzazione di cellule staminali dalla nicchia del midollo osseo alla circolazione sanguigna. Nella seconda fase, si procede al prelievo di sangue dal paziente e si isolano e purificano le cellule staminali, che in laboratorio vengono corrette geneticamente con vettori lentivirali (così detti perché derivano da virus del genere Lentivirus) per il trasferimento genico, o mediante procedure di editing con CRISPR. Infine, nella terza e ultima fase, le cellule così geneticamente modificate vengono re-infuse nel paziente.
In questo protocollo terapeutico, però, c’è una grossa limitazione per la sicurezza del paziente. Per consentire l’attecchimento delle cellule staminali ritrapiantate nel midollo osseo, il paziente deve essere sottoposto a trattamento con farmaci chemioterapici o a radioterapia, per andare ad eliminare le cellule staminali mutate rimaste nella nicchia e fare, così, spazio alle cellule “corrette”. Questi protocolli, chiamati di “condizionamento”, però, si ripercuotono, in termini di tossicità, sulla salute dei pazienti (danni alle mucose, alto rischio di infezioni, danni agli organi, sterilità…) e, quindi, vengono applicati soltanto in quelli che possono riceverli e che siano affetti da una forma grave di malattia.
Superare questa barriera rappresenta da anni l’obiettivo di molte ricerche sperimentali ed un recente studio condotto all’Istituto San Raffaele di Milano, finanziato dalla Fondazione Telethon, sembra averlo quasi raggiunto.
Mettere in competizione tra loro le cellule corrette con quelle native e ancora malate, svantaggiando queste ultime, è proprio l’idea alla base di questo nuovo protocollo terapeutico. I ricercatori hanno trovato l’escamotage per far sì che questo possa avvenire, senza dover ricorrere necessariamente all’utilizzo della chemio o della radioterapia. Sfruttare a pieno il trattamento della mobilizzazione ed avvalersi della tecnologia a RNA messaggero sono state le chiavi di volta e di successo di questo nuovo studio sperimentale.
Come si sa, il trattamento di mobilizzazione va ad attaccare le proteine di superficie delle cellule staminali del sangue, di cui esse si servono per potersi ancorare alla nicchia del midollo. Gli scienziati hanno scoperto, però, che è possibile ricostituire, in laboratorio, queste “proteine-àncora” durante la fase di coltura. Inoltre, i ricercatori hanno constatato che l’implementazione della tecnologia a RNA messaggero potenzia ulteriormente il vantaggio di poterle ricostituire, poiché ne favorisce un’espressione superiore a quella fisiologica (seppur temporanea) sulle cellule staminali “corrette” re-infuse. Dunque, queste cellule, se re-infuse al picco di un trattamento di mobilizzazione, godono di un certo vantaggio nell’occupare la nicchia rispetto a quelle appena esposte al trattamento.
Il gruppo di ricerca ha sperimentato questo nuovo protocollo di trapianto accoppiato a mobilizzazione in modelli animali con cellule staminali umane. Se verranno replicati gli stessi risultati nell’uomo, il nuovo approccio terapeutico potrà consentire la rimozione completa dei farmaci chemioterapici o della radioterapia nei pazienti sottoposti a questo tipo di trattamento. Ciò consentirà di allargare il numero di pazienti, ma anche di ampliare le potenziali applicazioni cliniche in terapia genica.
Fonte: Omer-Javed A, Pedrazzani G, Albano L, Ghaus S, Latroche C, Manzi M, Ferrari S, Fiumara M, Jacob A, Vavassori V, Nonis A, Canarutto D, Naldini L. Mobilization-based chemotherapy-free engraftment of gene-edited human hematopoietic stem cells. Cell. 2022 May 18:S0092-8674(22)00537-2. doi: 10.1016/j.cell.2022.04.039. Epub ahead of print. PMID: 35617958.