Sulla stagionalità della COVID-19

Guido Silvestri è autore della rubrica “Pillole di ottimismo”. Tramite aggiornamenti quotidiani su Facebook il Prof. Silvestri, docente negli USA, informa i suoi lettori sull’evoluzione della pandemia di COVID-19.

La diffusione del virus SARS-CoV-2 può essere legata a fattori climatici

Guido Silvestri è autore della rubrica “Pillole di ottimismo”. Tramite aggiornamenti quotidiani su Facebook il Prof. Silvestri, attualmente docente negli USA alla Emory University di Atlanta e editore del Journal of virology, informa i suoi lettori sull’evoluzione della pandemia di COVID-19. Vi riportiamo il suo bollettino di oggi, che tratta della stagionalità della COVID-19.

Non l'abbiamo scoperta adesso, ma 2.500 anni fa. Già il grande Ippocrate, proprio lui, il medico del famoso “giuramento”, scriveva che parecchie malattie infettive risultano più comuni durante certe stagioni dell’anno, e sappiamo tutti molto bene che le malattie infettive respiratorie sono più comuni d’inverno che d’estate.
Molti mi chiedono: “Ma lei Prof. dice che la COVID-19 è una malattia stagionale?” Se fai questa domanda a Stan Perelman e Ralph Baric, che stanno ai Coronavirus come Pelé e Maradona stanno al calcio, ti rispondono ridendo: “Of course this disease is going to be seasonal”. Ma se senti certi esperti da bar, che sanno di Coronavirus come io so di ingegneria spaziale, trovi affermazioni strane, come se ci fosse una specie di strano "negazionismo" della stagionalità, che francamente mi lascia perplesso. Ma ora, siccome in molti lo chiedono, proverò di nuovo a spiegare, rapidamente, cosa si intende con questo concetto e perché, parlando di stagionalità, non ci sono solo buone notizie.
Il primo elemento da considerare è la chiara stagionalità dei quattro coronavirus che sono endemici nella popolazione umana (CoV-HKU1, CoV-OC43, CoV-NL72 e CoV-229E), come emerso in modo straordinariamente chiaro dalla studio di Nickbashkh et al “Epidemiology of seasonal coronaviruses: Establishing the context for COVID-19 emergence” JIAA 2020 (vedi figura sotto, che penso capisca davvero chiunque).

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Credits: Fig. 5 - Nickbakhsh S, Ho A, Marques DFP, McMenamin J, Gunson RN, Murcia PR. Epidemiology of seasonal coronaviruses: Establishing the context for COVID-19 emergence [published online ahead of print, 2020 Apr 15]. J Infect Dis. 2020;jiaa185. doi:10.1093/infdis/jiaa185

 

Ricordo anche che SARS-CoV-1, l’agente responsabile della prima SARS, arrivò a novembre e sparì guarda caso, a giugno, mentre su MERS non ci si può pronunciare perché il virus non si è mai trasmesso con efficienza nella popolazione umana. Sono indizi, certo, ma piuttosto forti. Immaginate di aver scoperto un nuovo felino che ha i denti di una tigre, gli artigli di un leone, la pelliccia di un leopardo, i baffi di un puma e così via. Secondo voi, anche se non lo abbiamo mai visto mangiare, sarebbe azzardato prevedere che si nutra di carne e non di erba?

Il secondo elemento da considerare è che la COVID-19 sembra essere meno letale dove fa più caldo, soprattutto se unita a bassa umidità relativa. Un chiaro gradiente di letalità sull’asse Nord-Sud si è manifestato in Italia, dove oltre il 90% dei morti sono stati nelle regioni sopra Toscana e Marche (comprese), dove vive il 55% della popolazione italiana, mentre dal Lazio in giù si sono verificati meno del 10% dei decessi. Un simile gradiente si è verificato tra Nord e Sud della Spagna, tra Nord-Est e Sud-Ovest della Francia, e negli Stati Uniti, dove gli stati del Nord che raccolgono il 45% della popolazione hanno visto il 79% dei decessi contro il 21% dei decessi negli stati del Sud che raccolgono il 55% della popolazione americana. Prendiamo poi il caso di Canada e Australia, due paesi lontani, ma simili. Hanno una popolazione abbastanza simile diffusa in un territorio vastissimo (37 milioni di abitanti in 9.9M di Km2 il Canada, 25 milioni in 7.6M di Km2 l’Australia), simili sistemi di governo, una forte tradizione di democrazia e libertà, e un servizio sanitario pubblico e universale. Di fronte alla pandemia di COVID-19, le due nazioni hanno messo in atto provvedimenti simili di “isolamento sociale” e con tempistica molto simile. Le prime morti da COVID-19 si sono verificate in entrambi i paesi il 9 marzo, e il 10 marzo c’erano 98 casi attivi in Canada e 107 in Australia. Dopo oltre due mesi, a fine maggio, il Canada ha 90.179 casi e 7.073 morti accertati, mentre l’Australia ha 7.185 e 103 morti. Ricordiamo infine la bassa letalità di COVID-19 in Paesi dal clima caldo e secco, come nel Golfo e Nord Africa, ma anche in Etiopia, Kenya, Senegal etc. Mentre il Brasile, che ha zone ad alta umidità e va verso il pieno inverno (adesso ci sono 13 gradi a San Paolo, la zona più colpita), ha una mortalità abbastanza alta.

Ma come funziona la stagionalità? Ricordo innanzitutto che la teoria classica secondo cui il clima caldo e secco protegge da COVID-19 e dai virus respiratori in generale prevede che le alte temperature e bassa umidità relativa portino non solo meno infezioni, ma anche un decorso clinico meno grave, in quanto inoculi virali più piccoli sono meno capaci di raggiungere i polmoni, come dimostrato in vari modelli animali. Ricordo che quando si dice «a questo virus non piace il caldo» non ci si riferisce alla temperatura a cui il virus stesso viene disattivato, ma alle temperature che rendono instabili attraverso rapida evaporazione le goccioline di fomiti (saliva, starnuti, tosse) che trasportano il virus nell'ambiente. Questo meccanismo è noto ai virologi da decenni, e spiega perché tutte le infezioni virali respiratorie (influenza, para-influenza, RSV, rhino, adeno, etc), sono altamente stagionali, con chiarissima predilezione per l'inverno.
Infine è importante ricordare come fattori di tipo comportamentale (si tende a stare più vicini quando fa freddo e più lontani quando fa caldo, ca va sans dire) e legati alla fisiologia dell’apparato respiratorio (le temperature fredde sembrano ridurre la clearance muco-ciliare e forse anche altre funzioni difensive della mucosa respiratoria) contribuiscono in modo potenzialmente importante al fenomeno della stagionalità dei virus respiratori in generale e dei coronavirus in particolare.

Chiudo con una nota di CAUTELA. L’altra faccia della medaglia della stagionalità, che oggi ci sorride aiutando a sbarazzarci da SARS-CoV-2, è la notevole possibilità che l’infezione ritorni a fine autunno/inizio inverno (direi dicembre, se dovessi fare una previsione) e si rimetta a causare infezioni più severe di oggi perché legate ad inoculi con cariche virali più elevate. Questo punto non può essere omesso, perché essere ottimisti non significa essere dei giuggioloni che ridendo e scherzando vanno a schiantarsi contro un muro. Ma ricordiamoci anche che se il virus tornasse a dicembre – cosa probabile ma non sicura – stavolta lo accoglieremo con un tridente potente di MONITORAGGIO, PREPARAZIONE, e MIGLIORI TERAPIE, in modo tale che mai si ripetano i disastri del marzo 2020.

 


Fonte: Silvestri G. Ancora sulla stagionalità di COVID-19. Pillole di ottimismo. Post su Facebook del 01/06/2020