Studi precedenti hanno dimostrato che gli anticorpi, la prima linea di difesa dell'organismo contro il virus, possono svanire nel tempo, portando alcuni a temere che potremmo essere costretti ad un lungo ciclo di dosi booster. Tuttavia, gli anticorpi sono solo una parte della risposta immunitaria.
Si parla sempre di livelli anticorpali in parte perché gli anticorpi sono relativamente facili da studiare. Nonostante ciò, anche se i livelli degli anticorpi scendono sempre con il tempo, non significa necessariamente che l'immunità stia diminuendo.
Nuovi studi hanno esaminato altre aree del sistema immunitario capaci di ricordare e distruggere il virus, compresi i linfociti B e T. Queste ricerche hanno scoperto che questo variegato repertorio di difese dovrebbe essere in grado di proteggere coloro che hanno ricevuto 3 o anche 2 dosi di vaccino.
Se immaginiamo gli anticorpi come soldati in prima linea, quelli più vicini al nemico, ebbene con il passare del tempo, qualora la presenza dell’avversario diminuisca, saranno necessari meno soldati (meno anticorpi) nelle posizioni avanzate.
Qualora il nemico si ripresenti minaccioso, nuovi soldati interverranno rapidamente, numerosi e pronti, per difendere il territorio; allo stesso modo i linfociti B produrranno più anticorpi e i linfociti T potranno distruggere qualsiasi cellula infetta, fermando così l’infezione ed impedendo ad una persona di ammalarsi.
La funzione esplicata dalle cellule T e B aiuta a spiegare perché molte persone che hanno ricevuto due o anche tre dosi del vaccino potrebbero ancora essere infettate dalla variante Omicron ma, tra di loro, solo una piccola percentuale si è ammalata gravemente.
Due studi recenti hanno dimostrato che una terza dose di vaccino a mRNA produce una più ampia varietà di anticorpi e un pool più ricco di cellule B, a sostegno del perchè coloro che hanno ricevuto la dose booster hanno risultati migliori.
Sembra molto probabile che i linfociti T scatenino un attacco altrettanto robusto anche su qualsiasi variante futura. Questa ipotesi sarebbe suggerita anche dal decorso della SARS, la quale provocò la morte di circa 800 persone, durante una epidemia in Asia nel 2003. Ebbene, nelle persone esposte a quel virus, i linfociti T specifici sono durati più di 17 anni.
Finora, hanno affermato gli esperti, le prove indicano che le cellule di memoria a lungo termine per il coronavirus possono persistere nel tempo.
“Stare al passo con il virus” richiederà finanziamenti e impegno a lungo termine e gli scienziati affermano che fare questi investimenti adesso potrebbe portare a sistemi migliori per il monitoraggio degli agenti patogeni in altre specie e una comprensione più ampia di come la salute degli animali è collegata alla nostra. Potrebbe anche aiutare gli esperti a cogliere una eventuale prossima minaccia infettiva per la salute mondiale.
Wolfe J. Coronavirus Briefing: Good News on Immunity. The New York Times. Feb 22, 2022