L’uso dell’eparina nei pazienti COVID-19
Da più parti si suggeriscono i benefici di trattamenti anticoagulanti ed in particolare dell’eparina a basso peso molecolare in caso di infezione COVID-19. Sembra che l’eparina possa rivelarsi utile in pazienti COVID-19 positivi. La SISET però invita alla cautela.
Il position paper della SISET (Società Italiana Studio Emostasi e Trombosi)
Ricerche preliminari ed osservazioni cliniche hanno messo in correlazione l’infezione da Sars-CoV-2 e l’omeostasi del sistema cardiovascolare. Da più parti si suggeriscono i benefici di trattamenti anticoagulanti ed in particolare dell’eparina a basso peso molecolare in caso di infezione COVID-19. Sembra che l’eparina possa rivelarsi utile in pazienti COVID-19 positivi grazie alle sue capacità anticoagulanti, antinfiammatorie, di protezione endoteliale.
Tra i diversi parametri clinici e biochimici associati ad una prognosi sfavorevole dei pazienti con COVID-19, l'aumento dei livelli di D-dimero ha guadagnato particolare attenzione come predittore dello sviluppo di ARDS, della necessità di un ricovero in terapia intensiva, di morte. Allo stesso tempo, la gravità della malattia è correlata con una vera e propria tempesta citochinica. Questi dati sono coerenti con la già dimostrata stretta connessione tra anomalie dell’emostasi e infiammazione, due processi che si rafforzano a vicenda. Tutto questo ha diffuso la sensazione che la COVID-19 abbia qualche legame con la coagulazione intravascolare disseminata (DIC).
Sebbene non vi siano ancora prove confermate dal laboratorio, è plausibile che il plasma di questi pazienti sia ipercoagulabile, come suggerito dalle informazioni preliminari di laboratorio e da molte osservazioni cliniche. È anche possibile che un'embolia polmonare sia già presente prima del ricovero nei pazienti affetti da COVID-19 gravemente malati, spiegando così l'inefficacia segnalata delle dosi profilattiche di eparina durante la loro degenza ospedaliera.
L'ipotesi di migliorare l'esito clinico dei pazienti affetti da COVID-19 con farmaci antitrombotici semplici ed economici è molto allettante, ma diverse questioni devono essere affrontate e chiarite prima di adottare un approccio anticoagulante aggressivo.
Mentre la comunità scientifica è in attesa di prove più solide da studi clinici correttamente progettati, la Società Italiana Studio Emostasi e Trombosi si propone di fornire alcune raccomandazioni, basate sul consenso degli esperti, per la gestione dello squilibrio emostatico nei pazienti COVID-19.
Raccomandazioni SISET
- Nella gestione generale dei pazienti, il monitoraggio degli esami di laboratorio dovrebbe sempre includere la funzione di emostasi e il conteggio delle piastrine; lo screening ecografico della trombosi venosa profonda (TVP) dovrebbe essere effettuato ogni volta che è possibile.
- Si raccomanda vivamente di adottare procedure standardizzate per la raccolta di dati clinici e di laboratorio su tutti i pazienti ospedalizzati, al fine di migliorare la nostra comprensione della storia naturale della malattia.
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L'uso di eparina a basso peso molecolare (LMWH), eparina non frazionata (UFH) o fondaparinux a dosi indicate per la profilassi del tromboembolismo venoso (TEV) è fortemente consigliato in tutti i pazienti ospedalizzati con COVID-19. I pazienti con controindicazioni anticoagulanti devono essere trattati con compressione degli arti.
- La tromboprofilassi deve essere somministrata per tutta la durata del ricovero in ospedale. Questa deve essere continuata anche a casa per 7-14 giorni dopo la dimissione dall'ospedale o nella fase pre-ospedaliera, in caso di fattori di rischio di TEV preesistenti o persistenti (es. mobilità ridotta, BMI >30, TEV precedenti, cancro attivo, ecc.).
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L'uso di dosi intermedie di LMWH (cioè, enoxaparina 4.000 UI per via sottocutanea ogni 12 ore) può essere considerato su base individuale in pazienti con molteplici fattori di rischio di TEV (ad esempio, BMI >30, TEV precedente, cancro attivo, ecc.).
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L'uso di dosi terapeutiche di UFH o LMWH, sebbene sia un approccio ragionevole, non è attualmente supportato da prove al di fuori delle diagnosi accertate di TEV o come bridge terapeutico nei pazienti in terapia con antagonisti della vitamina K (VKA, vitamin K antagonist) e non può essere raccomandato come trattamento standard per tutti i pazienti COVID-19. A questo proposito, sono urgentemente necessari studi clinici randomizzati che confrontino l'efficacia/sicurezza di dosi più elevate di LMWH o UFH con quelle adottate per l'uso profilattico. Per migliorare la loro utilità clinica, è consigliabile che questi studi adottino protocolli semplici e chiari, e che siano gestiti da grandi sforzi collaborativi, auspicabilmente sostenuti dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
- Nei pazienti che richiedono dosi terapeutiche di LMWH o in terapia con DOAC (direct oral anticoagulants), dovrebbe essere monitorata la funzione renale e testati i livelli di DOAC e l’attività anti-Xa.
- Sia la terapia con VKA che quella con DOAC mostrano una significativa interferenza con il trattamento antivirale a cui sono sottoposti i pazienti COVID-19. Si raccomanda un approccio individualizzato basato sul paziente, volto a bilanciare il rapporto rischio/beneficio delle varie strategie antitrombotiche, tenendo conto dello stato ipercoagulabile sottostante.
- Si raccomanda inoltre una stretta collaborazione tra tutti gli specialisti coinvolti nel trattamento dei pazienti COVID-19.
Fonte: Marietta M, Ageno W, Artoni A, De Candia E, Gresele P, Marchetti M, Marcucci R, Tripodi A. COVID-19 and haemostasis: a position paper from Italian Society on Thrombosis and Haemostasis (SISET). Blood Transfus. 2020 Apr 8. doi: 10.2450/2020.0083-20.