La peste è una malattia infettiva causata dal batterio Gram-negativo Yersinia pestis, scoperto da Alexandre Yersin nel 1894, contemporaneamente a Shibasaburō Kitasato, durante un'epidemia a Hong Kong. I sintomi sono quelli di una polmonite grave o di una linfoadenopatia voluminosa e dolorosa con febbre alta, che spesso evolve verso la setticemia. La diagnosi è epidemiologica e clinica, confermata dai test colturali e sierologici. La terapia prevede streptomicina o gentamicina; le alternative sono un fluorochinolone o la doxiciclina.
La peste si manifesta principalmente nei roditori selvatici, ed è trasmessa dal roditore all'uomo attraverso il morso di un vettore come una pulce infetta. La peste può anche essere diffusa attraverso il contatto con il fluido o tessuto di un animale infetto. La trasmissione interumana avviene attraverso l'inalazione di goccioline di pazienti con infezione polmonare (peste polmonare primaria), che è molto contagiosa.
Il momento non è disponibile un vaccino contro la peste, per cui non è possibile effettuare un trattamento preventivo di questa malattia. Diventa quindi essenziale riconoscerne i sintomi rapidamente e intervenire nelle prime ore dalla loro comparsa.
La peste è diffusa in tutte le realtà dove le abitazioni sono infestate da pulci e da ratti, e quindi in condizioni di scarso livello di igiene. L’ultima epidemia urbana di peste negli Stati Uniti è stata nel 1924-25, a Los Angeles, e da allora la malattia si manifesta soprattutto nelle aree rurali al ritmo di 10-15 casi all’anno.
Globalmente, l’OMS riporta dai 1000 ai 3000 casi di peste ogni anno, distribuiti soprattutto tra Africa, Asia e Sudamerica. In Asia, la peste è diffusa nelle zone del Caucaso, in Russia, nel medioriente, in Cina, e anche in alcune zone dell’Asia sudoccidentale e sudorientale.
La Peste nera fu un’epidemia che colpì in modo particolarmente grave l'Europa, diffondendosi anche in Asia e Africa settentrionale. Le città, con la loro alta densità di popolazione e scarsa igiene, furono le più colpite. Nell'Alto Medioevo le città altro non erano che un dedalo di strade, catapecchie di legno e fango, il tutto immerso nella sporcizia, l’ambiente ideale per i topi. Si stima che la pandemia in Europa, tra il 1347 e il 1350 circa, abbia causato la morte di 25 milioni di persone, un terzo della popolazione europea dell'epoca. In alcune zone la mortalità raggiunse tassi ben più alti. Questa perdita demografica senza precedenti ebbe poi profonde ripercussioni sulla società medievale, creando vuoti nella forza lavoro, destabilizzando comunità e influenzando la struttura sociale.
Il termine peste (dal latino pestis, "distruzione, rovina, epidemia") indicava nel Medioevo molte malattie caratterizzate da alta mortalità e diffusione, quali il colera, il morbillo o il vaiolo. L'espressione “peste nera” fa riferimento all’epidemia del Trecento, perché tra i sintomi si aveva anche la comparsa di macchie scure e livide di origine emorragica che si manifestavano sulla cute e le mucose dei malati. L'epidemia della metà del Trecento è nota anche con l'epiteto di Morte nera.
La Peste nera del XIV secolo, originata a Caffa nella penisola di Crimea durante un assedio mongolo, si diffuse rapidamente attraverso le vie commerciali, influenzando il bacino del Mediterraneo e successivamente tutta l'Europa. Si ipotizza che questo evento abbia segnato la prima guerra biologica della storia, con i Mongoli che propagarono la malattia catapultando cadaveri infetti oltre le mura della città. I mercanti genovesi, fuggendo terrorizzati, portarono il contagio a Costantinopoli e in Italia, da dove si diffuse ulteriormente. Oltre alle vie commerciali, anche i pellegrinaggi contribuirono alla diffusione della malattia, collegando individui provenienti da diverse regioni. Dalle aree colpite, la peste si diffuse verso borghi, città e campagne circostanti.
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La Peste nera presentava diverse manifestazioni cliniche, con la forma bubbonica come la più comune. Linfonodi infiammati, i bubboni, erano spesso il primo segno della malattia. Comparivano all'inguine, sotto le ascelle o sul collo, rappresentando la manifestazione più evidente della malattia. I sintomi per chi ne era affetto includevano febbre alta, brividi, spasmi e delirio.
La forma setticemica e quella polmonare, quest'ultima altamente contagiosa, rappresentavano varianti della malattia con sintomi e complicanze distintive. La peste polmonare attaccava l'apparato respiratorio, causando una tosse ricca di bacilli pestiferi e consentendo il contagio da persona a persona attraverso l'aria.
Nel caso della peste setticemica, spesso conseguenza della forma bubbonica, l'infezione si diffondeva nel sangue, manifestandosi con macchie scure sulla pelle, da cui l'appellativo "morte nera" attribuito all'epidemia. La peste polmonare e quella setticemica risultavano essere le più letali.
Nel 1365, Guy de Chauliac, medico personale di tre papi e del re di Francia, distingueva in modo puramente empirico, senza ovviamente indagarne le cause, la peste polmonare dalla peste bubbonica. Nella Chirurgia Magna di Guy si legge:
"La malattia durò [ad Avignone, n.d.r.] sette mesi. Due erano le forme. La prima durò due mesi e fu caratterizzata da febbre persistente ed emottisi e la morte sopraggiungeva entro tre giorni. La seconda durò a lungo, anche questa con febbre persistente e fu caratterizzata dalla formazione sulla pelle di pustole e bubboni, in particolar modo nelle regioni ascellari ed inguinali. Se ne moriva dopo cinque giorni".
Ovviamente, in entrambi i casi, la malattia aveva una durata variabile e ci furono anche alcuni che sopravvissero alla peste bubbonica. In coloro che erano sopravvissuti fu descritta già nel XIV secolo una relativa immunità.
La diagnosi della Peste nera era basata principalmente sull'osservazione dei sintomi caratteristici. I medici dell'epoca svilupparono classificazioni basate sulla gravità della malattia, cercando di distinguere tra forme lievi, moderate e gravi. Questa stratificazione era fondamentale per adottare un approccio terapeutico personalizzato e pianificare interventi specifici.
La morte strangola una vittima della peste. Dal codice lucido, XIV secolo
La pratica medica medievale si basava su tradizioni ereditate dall'antichità, e le terapie per la Peste nera riflettevano queste influenze. L'uso di erbe medicinali, pozioni e amuleti era comune, ma l'efficacia di tali rimedi era spesso limitata. La mancanza di una comprensione accurata delle cause della malattia ha reso difficile per i medici fornire cure efficaci.
In generale, i medici medievali si basavano su antiche autorità come Ippocrate e Galeno, che aderivano alla teoria patologica umorale. Secondo questa teoria, le malattie erano causate da uno squilibrio dei quattro umori del corpo. La prevalenza della bile nera, fredda e secca, era associata alla peste.
Si riteneva che la putrefazione, provocata dalla predominanza di umori specifici, si diffondesse nell'organismo attraverso l'aria o il cibo. Il clima afoso e umido e i venti del sud erano considerati pericolosi. Le esalazioni, soprattutto dal respiro di coloro già malati, erano temute come altamente infettive. I medici cercavano di trattare la peste attraverso flebotomia, clisteri, fumo purificatore, disinfettanti come aceto e lavaggi di viso e mani.
I medici consigliavano misure preventive come l'isolamento dei malati, l'evitare cibi specifici, l'uso di sostanze aromatiche e la fuga dalle zone colpite. Consigliavano anche comportamenti come il ridere, scherzare e festeggiare, sottolineando l'importanza della gioia per mantenere l'equilibrio. I manuali medici dell'epoca, come i consilia e i regimina, fornivano istruzioni per affrontare l'epidemia. Si concentravano sulla prevenzione, piuttosto che sulla cura.
Nel "Consilium" di Gentile da Foligno (morto nel 1348) si consigliava di accendere fuochi nelle abitazioni. Ogni cibo doveva essere imbevuto nel vino. Come sostanze odorose dovevano essere impiegate la canfora nel caso di pasti caldi e la salaginella nel caso di pasti freddi. I cibi acidi erano considerati l'alimento ottimale. La teoria del "soffio pestifero" di Gentile da Foligno affermava che i venti corrotti trasportavano sostanze nocive nell'aria. A partire da Gentile, la triaca, così come il salasso e l'isolamento dei malati rappresentarono le basi della terapia contro la peste.
Nel "Consiglio contro la pistolenza" di Tommaso del Garbo (1305-1370), ad esempio, si consigliava pane intinto nel vino per difendersi dal contagio. Si suggerivano anche i chiodi di garofano, il cui profumo avrebbe avuto un'azione disinfettante. Si davano anche consigli per i sacerdoti, che dovevano raccogliere la confessione dei moribondi: tutti dovevano allontanarsi dalla stanza del malato, così il malato poteva alzare la voce e confessare i propri peccati al sacerdote che poteva così stare a distanza.
Un altro consiglio contro la peste scritto da Giovanni Dondi (1330-1388) raccomandava di evitare nebbie e foschie, oltre il temuto vento proveniente da sud. Inoltre, era raccomandato esporsi al mattino ai fumi di un fuoco ottenuto bruciando legna profumata, come quella di olivo, quercia, frassino, sandalo e mirto. Fondamentale il lavaggio delle mani, con acqua di rose ed aceto. Dondi sosteneva la necessità di salassi, da praticare anche sulla testa dei malati, allo scopo di ridurre il sangue “infetto” dall’organismo.
Siegmund Albich (1347-1427), medico personale di re Venceslao di Boemia e professore all'Università di Praga, nel suo "Regimen tempore pestilentiae" esorta «a non parlare e a non pensare alla peste perché anche solo la paura dell'epidemia, l'immaginarla e il parlarne sono senza dubbio causa nell'uomo dell'insorgere della malattia stessa».
Nonostante la mancanza di comprensione delle cause microscopiche della malattia, i medici medievali cercavano approcci empirici basati su concetti umorali e misure preventive, dimostrando una primitiva comprensione dell'isolamento dei malati come metodo efficace per contrastare la diffusione della peste.
Date le caratteristiche altamente contagiose della peste, l'isolamento dei pazienti e l'implementazione di misure di quarantena erano pratiche comuni. Queste misure erano spesso rudimentali, tuttavia, durante la pandemia le autorità introdussero misure preventive potenzialmente efficaci, come l'isolamento dei contagiati, la riduzione dei contatti umani e degli spostamenti, la pulizia dei luoghi pubblici e l'istituzione di uffici sanitari. L'esperienza della pandemia contribuì a perfezionare le misure preventive, e i focolai di peste successivi furono limitati a una o poche città, senza raggiungere la stessa diffusione della "morte nera".
La peste venne ritenuta come un castigo di Dio per i peccati degli uomini. Quest’idea riaccese un forte fervore religioso, che portò alla ripresa del movimento penitenziale nel sud della Francia, nel nord e centro Europa, dando così origine alle cosiddette “processioni dei flagellanti”.
Le scarse conoscenze mediche non permettevano di sconfiggere la malattia. Si diffuse così in tutta Europa un senso di frustrazione e impotenza. Si pensava che, se si fossero trovati i responsabili dell’epidemia l’ira di Dio si sarebbe placata.
La colpa venne così riversata sui più poveri e deboli, come i mendicanti, i vagabondi e gli Ebrei. Un fenomeno tragico correlato alla Peste Nera fu proprio la crescente persecuzione degli ebrei in molte comunità europee. Erroneamente accusati di avvelenare pozzi e diffondere la malattia, gli Ebrei furono spesso oggetto di violenze e massacri. Questi eventi sottolineano la connessione tra le crisi sanitarie e il diffondersi di pregiudizi irrazionali, mettendo in luce il ruolo sociale e culturale della medicina nel contesto medievale.
La peste persistette in Europa per altri duecento anni dopo il 1351, ma nel periodo fino al Seicento colpì principalmente in forme leggere, senza coinvolgere l'intero continente.
Tra il 1629 e il 1679, ulteriori epidemie colpirono l'Europa. Nel 1629, la peste fu introdotta nel Nord Italia dai Lanzichenecchi, portando a tumulti e carestie. La diffusione nel 1630 causò danni economici e cambiamenti sociali, con misure di controllo come il divieto di feste e viaggi, controlli alle porte della città e punizioni per gli untori.
Le condizioni mediche nel '600 furono descritte dettagliatamente da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi", narrando la diffusione della peste a Milano. Successive epidemie colpirono Napoli e Roma nel 1656, mentre nel 1665 e nel 1679 si diffusero a Londra e Vienna.
Il XVIII secolo vide miglioramenti socio-economici e igienico-sanitari, contribuendo al declino della peste in Europa dal XIX secolo.