I virus non possono replicarsi da soli. Hanno bisogno di un ospite per quasi tutte le loro funzioni replicative. Allo stesso modo, molti virus non sono in grado di causare danni senza l’azione del sistema immunitario dell'ospite. Per questi motivi, spesso risultano efficaci due strategie per migliorare la malattia: l’uso di antivirali, che bloccano la replicazione, e l’uso di antinfiammatori, che possono limitare i danni indotti dall'infezione.
Nella COVID-19 il ruolo dell'infiammazione localizzata è stato evidente fin dall'inizio, perché i sintomi gravi in molti pazienti si sviluppano tardivamente, quando la carica virale di SARS-CoV-2 è in diminuzione. Tra i principali candidati per mediare l'infiammazione nella COVID-19 si è individuata l'interleuchina-6, una citochina prodotta dai macrofagi che induce una risposta pro-infiammatoria ed è spesso elevata nei pazienti COVID-19. Uno dei motivi di interesse verso l'interleuchina-6 è che disponiamo già di farmaci approvati che bloccano la citochina o il suo recettore. L'entusiasmo per questa terapia era così alto che negli Stati Uniti il blocco dell'interleuchina-6 era ampiamente utilizzato prima ancora di avere prove della sua efficacia. Tuttavia, in assenza di potenti antivirali per bloccare la replicazione di SARS-CoV-2, non era chiaro se questa strategia fosse sicura. Due studi pubblicati sul NEJM a proposito dell’uso di IL-6 forniscono risultati apparentemente contraddittori.
Nel Randomized, Embedded, Multifactorial Adaptive Platform Trial for Community-Acquired Pneumonia (REMAP-CAP), uno studio clinico adattivo, circa 800 pazienti con necessità di solo supporto respiratorio, di solo supporto emodinamico, di supporto respiratorio e emodinamico, sono stati assegnati in modo casuale al gruppo placebo o al gruppo con somministrazione di una singola iniezione di un bloccante del recettore dell'interleuchina-6, tocilizumab o sarilumab. L'end-point primario riguardava il decesso in ospedale e il numero di giorni senza supporto respiratorio o emodinamico al giorno 21. Il gruppo che ha assunto un bloccante del recettore dell'interleuchina-6 ha evidenziato una mortalità in ospedale del 27%, rispetto al 36% del gruppo di controllo. I pazienti che hanno assunto il bloccante del recettore hanno avuto una mediana di 10-11 giorni senza supporto d'organo, rispetto a 0 giorni per i controlli.
Nello studio COVACTA, uno studio randomizzato e controllato più tradizionale, 452 pazienti con COVID-19 (saturazione di ossigeno ≤93%) sono stati assegnati in modo casuale in un rapporto 2:1 ad assumere una dose di tocilizumab o placebo. L’end-point primario era lo stato clinico al giorno 28, la mortalità era un risultato secondario. Il gruppo che assumeva tocilizumab al giorno 28 aveva uno stato clinico mediano di 1 (dimesso o pronto per la dimissione), e il gruppo di controllo aveva uno stato clinico mediano di 2 (fuori dalla terapia intensiva e senza ossigenoterapia in atto). La mortalità è stata del 19,7% nel gruppo tocilizumab e del 19,4% nel gruppo di controllo.
Lo studio REMAP-CAP, uno studio in aperto, ha dato risultati positivi. Lo studio COVACTA, uno studio in doppio cieco e controllato con placebo, ha dato esiti non rilevanti. Non è chiaro se la natura open-label di REMAP-CAP possa aver influenzato il processo decisionale relativo alla gestione clinica.
Questi sono gli ultimi di numerosi studi che valutano il ruolo dell'inibizione dell'interleuchina-6. La maggior parte non ha trovato un effetto sulla mortalità. Tuttavia, un recente preprint dello studio RECOVERY ha mostrato che, come nel REMAP-CAP, il trattamento con tocilizumab ha portato a tassi di mortalità inferiori nei gruppi con diversa gravità della malattia.
Come possiamo dare un senso a questi risultati discordanti? Le differenze tra gli studi includono i criteri di arruolamento, il momento in cui la terapia anti-interleuchina-6 è stata iniziata (rispetto sia al momento dell'infezione che alla gravità dell'infiammazione), l’end-point primario e la terapia di base. Non tutte le infiammazioni possono essere uguali: i pazienti con una malattia grave alla presentazione iniziale possono avere una patogenesi diversa da quelli in cui la malattia infiammatoria si sviluppa più tardi, il che suggerisce che il momento di inizio del trattamento può essere cruciale nella comprensione delle risposte. Forse la più grande variabile, tuttavia, può essere data dai periodi in cui le prove sono state condotte. La terapia di base della COVID-19 è cambiata e la mortalità sembra essere diminuita dall'inizio dell'epidemia. Un cambiamento particolarmente notevole è stato che i pazienti con malattia grave, il target terapeutico nella maggior parte di questi studi, ora assumono quasi universalmente glucocorticoidi, poiché questi farmaci hanno dimostrato nel luglio 2020 di ridurre la mortalità. Nello studio COVACTA solo una minoranza dei pazienti è stata trattata con glucocorticoidi. I glucocorticoidi sono stati somministrati meno al gruppo tocilizumab (19,4%) rispetto al gruppo placebo (28,5%). Al contrario, il 93% e l'82% di tutti i pazienti nel REMAP-CAP e nello studio RECOVERY, rispettivamente, stavano ricevendo una terapia basale con glucocorticoidi. L'analisi del sottogruppo nello studio RECOVERY ha indicato che coloro che assumevano glucocorticoidi mostravano maggiore sopravvivenza, il che suggerisce un'interazione di trattamento con l'inibizione dell'interleuchina-6. Il blocco dell'interleuchina-6 più i glucocorticoidi, agendo in modi diversi, possono essere additivi o sinergici. In alternativa, l'uso dei glucocorticoidi può essere semplicemente un marcatore di altri cambiamenti nel trattamento che si sono verificati nel corso dell'epidemia.
Questi punti sollevano questioni complesse. Il valore dell'inibizione dell'interleuchina-6 dipende dalla tempistica del trattamento, mostrando beneficio solo se vicino ad un evento acuto di scompenso infiammatorio tardivo? Ci affidiamo agli studi clinici per avallare o rifiutare possibili interventi. Ma cosa succede se i risultati degli studi cambiano man mano che le terapie basali migliorano, un problema tipico dei platform trial, che devono sempre includere controlli aggiornati? Per ora, ci rimane l'evidenza del beneficio degli inibitori dell'interleuchina-6, almeno in alcune circostanze, ma come usarli al meglio rimane poco chiaro.
Fonte: Rubin EJ, Longo DL, Baden LR. Interleukin-6 Receptor Inhibition in Covid-19 - Cooling the Inflammatory Soup. N Engl J Med. 2021 Feb 25. doi: 10.1056/NEJMe2103108. Epub ahead of print. PMID: 33631064.