Più di seicentomila italiani sono affetti dalla malattia di Alzheimer. Questo numero supera i trenta milioni nel mondo. Complice l’allungamento della vita media, questa malattia – che rappresenta la più comune causa di demenza ed è caratterizzata da una progressiva erosione delle diverse forme di memoria in cui il cervello organizza le informazioni – sta diventando un importante problema sanitario globale.
Questo, sia sul versante dei costi economici mondiali che ammontano a più di 600 miliardi di dollari l’anno, sia sul versante dei costi sociali poiché nella grande maggioranza dei casi il carico dell’assistenza del malato grava soprattutto sui familiari.
Per questa ragione, da tempo, la ricerca è indirizzata ad individuare un trattamento efficace, ma anche a mettere a punto, a costi accessibili, metodologie per la diagnosi precoce di malattia.
A questa sfida globale stanno partecipando anche ricercatori dell’Azienda Ospedale/Università di Padova, in collaborazione con l’IRCCS San Raffaele di Roma, l’Università of Eastern Finland di Kuopio, l’IRCCS Neuromed di Pozzilli, l’Università la Sapienza di Roma ed il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.
Da questa pluriannuale collaborazione è nato lo studio “TMS-EEG Biomarkers of Amnestic Mild Cognitive Impairment Due to Alzheimer’s Disease: A Proof-of-Concept Six Years Prospective Study” pubblicato sulla prestigiosa rivista “Frontiers of Aging Neuroscience”.
«In questo studio sono stati valutati un gruppo di soggetti anziani sani di controllo ed un gruppo di 17 persone che riferiscono la comparsa di un lieve disturbo cognitivo non chiaramente patologico – spiega la prof.ssa Florinda Ferreri docente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova -. L’intento era quello di capire se fosse possibile identificare in una fase estremamente iniziale coloro che sono a rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer da coloro che non lo faranno. È stato dimostrato come, utilizzando una nuova tecnica non invasiva ed a basso costo, basata sulla combinazione tra stimolazione magnetica transcranica ed elettroencefalogramma, sia possibile individuare dei segni distintivi di funzionamento cerebrale che identificano i soggetti con MCI che rimarranno stabili nel tempo rispetto a quelli che nel giro di pochi anni svilupperanno una demenza di Alzheimer conclamata. Con questa tecnica è infatti possibile studiare con estrema accuratezza le difficoltà di trasmissione dell’impulso elettrico cerebrale che in una fase precoce di malattia sono causate da piccolissimi danni che progressivamente si accumulano nel cervello dei malati e che neanche indagini strumentali molto sofisticate sono in grado di rilevare.»
Questo risultato, una volta confermato su più larga scala, acquisisce un significato fondamentale alla luce della recente approvazione da parte della FDA del primo farmaco in grado di modificare la storia naturale della demenza di Alzheimer, arrestandone i danni cerebrali purché assunto nelle fasi iniziali di malattia.