A livello europeo erano previsti piani di emergenza in caso di epidemia. Gli Stati membri sanno bene che le epidemie non rispettano le frontiere. Nessuno di questi piani ha potuto essere attuato perché tutti sono stati colti di sorpresa. Le previsioni e le procedure son state spazzate via. In pratica, non c'è stata una risposta concertata a livello europeo, ma solo tentativi di risposte nazionali a una situazione in alcuni momenti fuori controllo..
Alla fine nessun governo si è dimostrato davvero efficace, probabilmente perché nessuno poteva esserlo. A seguito di questa crisi, Ursula Von der Leyen [Presidente della Commissione Europea] e Stélla Kyriakídes [Commissario per la Salute] hanno logicamente chiesto una riflessione sulla gestione sanitaria a livello europeo, con strumenti condivisi, anche organizzativi, tra tutti gli attori coinvolti.
In ogni caso, è difficile pensare in termini di Stati, perché questa crisi sanitaria è stata quasi sempre regionale piuttosto che nazionale. Milano o Bergamo furono devastate durante la prima ondata, mentre l'Italia meridionale fu relativamente risparmiata. In Francia, è stata l'Alsazia a soffrire enormemente all'epoca, a differenza di Bordeaux, Montpellier o Marsiglia. I governi avrebbero quindi dovuto essere molto flessibili per essere efficaci, ma in questo nessuno di loro si è davvero distinto.
Questo aspetto regionale della pandemia è troppo poco discusso. Di fronte a una seconda ondata, dobbiamo essere in grado di mobilitare molto rapidamente l'offerta di cure in aree densamente popolate che saranno colpite una dopo l'altra, in una cascata, in diverse parti d'Europa. Ciò richiede un meccanismo flessibile con trasferimenti interregionali di risorse, come i vasi comunicanti. Di fronte alla pandemia, ci sono state alcune buone pratiche di aiuto reciproco tra gli Stati, ma è a livello regionale che si sta giocando la vera partita.
Il settore ospedaliero pubblico è stato mobilitato per primo perché ha una maggiore capillarità e una migliore capacità ricettiva a medio termine. Il settore pubblico è sempre il partner più ovvio per l'amministrazione sanitaria, che ne co-regolamenta l'offerta di assistenza. Questa "monocultura pubblica" è stata ancora una volta protagonista, sia in Francia che in altri paesi europei.
Sono un "vecchio" medico, ma sono rimasto comunque sorpreso nel vedere che in Francia, nonostante l'entità delle necessità, il settore privato è stato inizialmente un po' trascurato ed è stato coinvolto solo quando gli ospedali sono diventati congestionati. Basti ricordare il trasferimento dei pazienti alsaziani a Bordeaux quando le cliniche erano vuote. Abbiamo assistito ad una sorte di "partenza ritardata".
Quando finalmente siamo stati chiamati in causa come rinforzi abbiamo accolto immediatamente i pazienti. Il 22% dei letti di terapia intensiva impiegati per la cura di COVID-19 nell'Île-de-France dipendeva dal settore privato. Abbiamo anche messo a disposizione i nostri locali e le nostre attrezzature, e soprattutto il nostro personale: medici e infermieri sono venuti da cliniche di tutta la Francia per sostenere i colleghi negli ospedali pubblici. Non c'era più l'etichetta "pubblico" o "privato". Stessa cosa in Italia: l'IRCCS Policlinico San Donato è stato molto impegnato per sostenere gli ospedali pubblici. Quando a sua volta si è saturato, sono venuti in soccorso i colleghi del settore privato rumeno.
Sono stati individuati alcuni punti deboli. La questione dei rifornimenti di materiali è stata molto emblematica della mancanza di coesione europea. Di fronte a una terribile mancanza di elementi fondamentali per contrastare l’epidemia - maschere, respiratori, medicinali - gli Stati Uniti hanno fatto da soli, a volte hanno anche sgomitato. Mentre Emmanuel Macron chiedeva aiuti al governo cinese per i rifornimenti di mascherine, Angela Merkel riuniva un centinaio di industriali presso la cancelleria per chiedere loro di trovare soluzioni direttamente in loco. Sono stati loro a recuperare le mascherine.
Un'altra lezione da imparare riguarda le barriere amministrative. Ricordiamo il Boeing carico di mascherine che doveva essere diretto in Francia, bloccato sull'asfalto di un aeroporto cinese per poi decollare verso gli Stati Uniti. Ufficialmente gli americani hanno pagato le mascherine in contanti e molto di più, ma c'è anche un'altra spiegazione. L'aereo sarebbe stato bloccato perché queste mascherine avevano una certificazione internazionale, ma non europea. Penso che si sia imparato qualcosa, in termini di approvvigionamento e di gestione delle risorse. E ora i magazzini sono pieni.
Dr. Paul Garauss
Naturalmente, ci saremo di nuovo. Ma i governi, che sono sia amministratori sia pagatori, dovranno tenerci in considerazione e sostenerci economicamente. In Europa, alcune istituzioni private sono state messe da parte. Altre - con servizi di terapia intensiva - sono stati mobilitati ma non remunerati. Infine, molte cliniche chiuse per mancanza di attività o per decreto, non sono state ssotenute. Se gli ospedali in generale sono la seconda vittima di questa crisi, gli ospedali privati in particolare fanno fatica a riprendersi. Ci sono ampie disparità tra i paesi in questo senso.
Francia e Germania sono paesi che hanno avuto l'intelligenza di coinvolgere o mantenere a galla tutte le infrastrutture ospedaliere, il che li rende capaci di affrontare una seconda ondata. La Svizzera, dal canto suo, ha istituito un partenariato pubblico-privato senza precedenti durante la crisi. Anche l'Italia è stata in grado di costruire questa collaborazione. In Emilia-Romagna l'offerta pubblico-privata è stata efficacemente strutturata su tre livelli rispetto alla pandemia di COVID-19. Il settore privato ha quindi svolto un ruolo importante in questa regione, gestendo 5.000 dei 20.000 posti letto ospedalieri disponibili. Lo stesso vale per la Lombardia, dove il 18% dei pazienti COVID-19 è stato curato dal gruppo privato San Donato.
Altri Stati si sono assunti il rischio di concentrare tutte le risorse sul settore pubblico, anche quando questo è stato sopraffatto. Il governo portoghese ha rifiutato di pagare per i pazienti COVID-19 ammessi in terapia intensiva nel settore privato. In Polonia e in Ungheria i governi hanno rifiutato categoricamente di pagare il settore privato. Metà degli ospedali privati polacchi sono ancora chiusi. La Grecia è stata poco colpita dalla prima ondata, ma tutti gli ospedali privati hanno dovuto chiudere, prima di riprendere il 50% della loro attività a metà maggio. Non hanno ricevuto alcun aiuto di Stato. In Spagna, il 14% dei pazienti COVID-19 in terapia intensiva sono stati trattati in strutture private. Nel frattempo le entrate delle cliniche sono diminuite del 60%, e solo la regione della Catalogna ha concesso loro un sussidio finanziario. I governi che scelgono di ignorare l’ospedalità privata o di metterla a repentaglio corrono il rischio di compromettere l'offerta di cure.
*: Germania, Austria, Spagna, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Polonia, Portogallo, Principato di Monaco, Romania, Svizzera