L'intervista approfondisce diverse tematiche. Vi consigliamo di prendervi 5 minuti e di leggerla tutta, per intero. Per comodità, vi lasciamo qui un sommario dei temi trattati:
La risposta è “sì”, oggi Regione Lombardia si sta impegnando per aumentare la capacità di fare test del tampone. A questo proposito io e il Presidente Fontana, circa un mese fa, abbiamo avuto uno scambio di battute molto teso, ma credo che, almeno in parte, sia servito a dare un impulso a questa strategia. Un mese fa avevamo 20 laboratori che riuscivano a elaborare i risultati di 5.000 test al giorno. Secondo il Presidente Fontana non aveva senso implementare questa capacità di fare tamponi, perché, comunque, il numero di sanitari da esaminare sarebbero stati in ogni caso molti di più. Se abbiamo 500.000 sanitari da sottoporre a test del tampone in via prioritaria, cosa cambia fare 5.000 o 10.000 tamponi al giorno? Questo diceva il Presidente Fontana. Io gli ho fatto notare che se con 20 laboratori si processano 5.000 test al giorno e il tempo che passa dall’esecuzione del test all’esito è mediamente di 48 ore, con 40 laboratori si sarebbero potuti elaborare sempre 5.000 test al giorno, ma con tempi dimezzati per averne i risultati. Credo che questo mio input sia servito a fargli cambiare idea. A volte le questioni si risolvono semplicemente facendo notare un punto di vista differente. E il mio, che sono un medico, penso possa essergli servito in questo caso. Oggi in Regione Lombardia si processano circa 14.000 tamponi al giorno, quasi il triplo di quel che si faceva un mese fa. I laboratori che svolgono questa procedura per conto di Regione Lombardia sono una quarantina. Io ho anche suggerito di rivolgersi ai laboratori privati convenzionati ed anche ai laboratori di ricerca. I laboratori di ricerca hanno competenze e macchine PCR, hanno solo bisogno di una certificazione che li autorizzi a fare diagnosi clinica. Certificazione che si potrebbe rilasciare anche solo in via temporanea, considerata l’emergenza. Ci si potrebbe muovere in deroga: vogliono farlo in edlilizia per gli appalti, accettando in nome di meno burocrazia le infiltrazioni mafiose; possono farlo per la diagnosi dei test, direi. Usando cautela, certo. Ma se in emergenza non si risponde in modo pronto ed agile, di fatto si rischia di non rispondere.
Aumentare la capacità di fare tamponi non è facile, ma nemmeno impossibile. Non bisogna fermarsi alle prime difficoltà, bisogna approfondire, studiare il problema e cercare le soluzioni. Io, per forma mentis, sono abituato a fare così. In molti, tra cui l’assessore Gallera, sollevavano il problema della mancanza di reagenti per fare i test del tampone. Pur con 1000 laboratori a disposizione, senza reagenti non si possono fare più test, punto, diceva. E invece no, dopo il punto si continua. Il politico dovrebbe avere la capacità di analizzare i problemi complessi e spacchettarli, dividerli, per trovare soluzioni. Io lo facevo da medico intensivista, lo faccio anche oggi in veste di politico.
Sulla questione della mancanza di reagenti, che ovviamente è un problema mondiale, non solo lombardo, ho provato ad informarmi. Ho così conosciuto il protocollo “Stefy”, il lavoro del team guidato dalla Dr.ssa Marzinotto a Udine. In quel laboratorio, dopo instancabili ricerche, si è riuscito a trovare un metodo che permette di sequenziare il materiale genetico senza l’utilizzo dei sempre più rari kit di analisi, estraendo l’RNA con metodi fisici diversi da quelli applicati prima. Ho quindi segnalato il progetto all’assessore, perché insieme ai suoi tecnici potesse approfondire.
Non mi sono fermato. Tramite Stefano Quintarelli, ex parlamentare di Scelta Civica ed imprenditore nel campo tecnologico e digitale, ho conosciuto il lavoro di Andrea Riposati. Lui è l’amministratore delegato di Dante Labs, un’azienda di biotecnologie fondata dallo stesso Riposati e Mattia Capulli, che ha investito per adattare la propria tecnologia per la lotta contro la COVID-19. Dante Labs, azienda aquilana, vuole mettere a disposizione della comunità la sua esperienza e le sue risorse al fine di creare il primo centro al mondo in grado di fare diagnosi massiva di COVID-19, attraverso un approccio robotizzato. Dante Labs ha infatti la capacità di analizzare 5.000 tamponi al giorno, ma in caso di necessità potrebbe arrivare anche a 10.000 tamponi al giorno. L’aspetto importante è che il laboratorio di Riposati usa reagenti diversi rispetto a quelli che si stanno usando per il tradizionale processamento dei tamponi. Anche in questo caso, ho segnalato all’assessore perché potesse valutare l’opportunità un mese fa. So che sono in contatto.
Per aumentare la capacità di fare tamponi servivano più laboratori e la disponibilità dei reagenti. Dialogando, attraverso il processo democratico proprio dell’aula parlamentare, abbiamo dato un forte input al Presidente Fontana perché si convincesse a coinvolgere più laboratori nell’esecuzione della procedura. Poi, studiando, approfondendo, abbiamo proposto delle alternative al “non si può fare” per risolvere la questione della disponibilità dei reagenti. Qual è la morale di questa storia? Io, con uno staff di 2 persone, ho lavorato e ho messo sul tavolo delle proposte per cercare di risolvere un problema. Lo staff di Gallera, ben più corposo del mio, non è stato capace di andare oltre il compitino. “Senza reagenti non si possono fare più test. Punto”. Questo modo di lavorare è inaccettabile, non solo in emergenza, ma certamente ancor più in emergenza. In Regione Lombardia si stanno facendo più test del tampone e ne faremo di più, ma che fatica.
In tutta sincerità, a me non è chiaro cosa sia avvenuto in Regione Lombardia a questo proposito. Il sistema sanitario regionale ha stipulato un accordo con l’azienda DiaSorin in via esclusiva. Al Policlinico San Matteo di Pavia si stanno sperimentando test sierologici solo con i test DiaSorin, che ancora non sono pronti e certificati. In Regione Lombardia si è sempre parlato del test DiaSorin come del “nostro test”, il test lombardo. Al momento quindi stiamo aspettando la validazione di questo test. Ad oggi non sappiamo quanto sia sensibile e specifico il test, ma Regione Lombardia, per quel che ne so, avrebbe già versato un anticipo per l’acquisto di questi test.
Quando il test Diasorin riceverà la validazione non lo venderà solo a Regione Lombardia, ovviamente. Con tutte le conseguenze del caso. In maniera arbitraria e antiscientifica il governo di Regione Lombardia ha puntato su un solo cavallo prima che si dimostrasse vincente.
Noi chiediamo ad un test sierologico di indicarci se una persona è malata di COVID-19 in un dato momento e se è stata ammalata in precedenza. Se non mi sbaglio il test DiaSorin dosa le sole IgG per cui, forse, le informazioni che questo test anticorpale ci darà non forniranno un quadro completo. Un limite importante questo, che forse non dipende dal test specifico ma dal fatto che la scienza oggi non abbia ancora sufficienti strumenti diagnostici per questa malattia. Non ho capito se la scienza non è ancora sicura di attribuire alle IgM un ruolo di fase acuta e alle IgG un ruolo di guarigione. Sarebbe importante capire se chi ha le IgG positive ha sempre il tampone negativo, ovvero non ha più virus in corpo.
Il protocollo che si vuole mettere in atto prevede innanzitutto di usare la sierologia come test di screening. Quindi, in un secondo momento, chi risulterà positivo al test di screening sarà sottoposto a test del tampone. Il test del tampone negativo permetterà di considerare guarito un soggetto. Quindi, mi chiedo io, qual è il ruolo della sierologia? Cosa si chiede al test sierologico e come lo si vuole usare?
Il rischio, se le cose stanno così come ci han detto finora, è che il test sierologico risulti addirittura un elemento confondente. Un conto è lo screening sui sanitari, un conto è rendere disponibile sul mercato un test per fare questo tipo di screening. Immaginiamo che un’azienda qualunque compri questo test per i suoi operai. Cosa succede se un operaio risulta positivo al test sierologico? Gallera ce lo ha detto: in questa situazione l’operaio verrà messo in isolamento finché non verrà sottoposto a test del tampone, ben sapendo che questo operaio non rientra in una categoria prioritaria, quali sono i malati e gli operatori sanitari. Il suo tampone quindi verrà processato con tempi lunghi. Cosa comporterà questo? Che l’operaio IgG positivo, probabilmente già guarito, dovrà rimanere a casa in isolamento per settimane finché non avrà l’esito del tampone. Questo esempio può riguardare aziende ed ordini professionali. Uno schema di questo tipo rischia di paralizzare il mondo del lavoro, rischiamo di lasciare a casa lavoratori immotivatamente, solo per questioni burocratiche. E in più creiamo situazioni spiacevoli alle famiglie, dato che non è semplice gestire un isolamento a casa se non si abita da soli. Come l’ospedale in Fiera, anche la sierologia ci è stata presentata come un colpo di magia in grado di cambiare la situazione, risolvendo in un colpo tutto il problema della diagnostica. In realtà, Regione Lombardia non ha ancora capito come inserire i test sierologici in un’ottica più ampia di strategia diagnostica, di monitoraggio e di sorveglianza.
Il punto è che, dinanzi alle novità che arrivano dal mondo scientifico e tecnologico, manca un dibattito politico-scientifico trasparente, a cui i cittadini possano accedere, in cui gli esperti del settore e i decisori politici dialogano e si confrontano. È mancato per l’ospedale in Fiera, è mancato per l’App di tracciamento, è mancato per i test sierologici.
[L’azienda lodigiana Technogenetics ha deciso di adire il Tar (e poi il Consiglio di Stato) per lamentare la procedura seguita nella selezione dei test, evidenziando che Regione Lombardia abbia volontariamente chiuso il mercato alle altre aziende. La sentenza del TAR del 22 aprile 2020 afferma che “sebbene non siano configurabili i motivi di «urgenza e gravità» per sospendere l’accordo esclusivo che il sistema sanitario regionale ha stabilito con l’azienda Diasorin, i giudici evidenziano che sono state violate le regole europee della concorrenza e dei contratti pubblici, e che pertanto sarà necessario arrivare a una decisione collegiale (sempre per la sospensiva), fissando la data del dibattito per il 13 maggio”, ndr]
In Lombardia il caos regna sovrano. Ogni ATS sta facendo un po’ per conto suo. Questo mostra per l’ennesima volta un deficit di credibilità e autorevolezza da parte di chi alle ATS dovrebbe dare le linee guida, cioè l’unità di crisi regionale. Al personale sanitario stanno facendo test sierologici e tamponi se il test sierologico è positivo. Alcuni colleghi medici mi hanno segnalato che il numero di sierologie positive è inaspettatamente basso. Questo fa pensare che, dopo le prime settimane, gli operatori sanitari siano diventati bravi ad autoproteggersi. Oppure, usando test ancora sperimentali, che questi stiano dando risultati sbagliati. Siamo nel campo delle opinioni di esperti, il livello di evidenza scientifica è molto basso, ma queste sono le informazioni che ho. In Lombardia si sta usando un solo test, quello di DiaSorin, non si possono fare altre valutazioni. Essersi legati ad un solo produttore di test è rischioso, sia se il test si rivelerà poco affidabile, sia se si rivelerà il test migliore del mondo. In questo caso, infatti, se arrivasse un’offerta economica migliore, probabilmente Regione Lombardia si troverebbe senza possibilità di fare test, o senza possibilità di farli in modo rapido.
In tutta onestà, non lo so. Certamente meno l’organigramma è snello, più si complica il processo decisionale. Membri del Dipartimento di Protezione Civile sono all’interno dell’unità di crisi, come è giusto che sia. Può essere che il loro collegamento col governo nazionale possa aver creato qualche impasse, alla luce del fatto che i rapporti tra il governo e le regioni sono risultati molto tesi durante questa emergenza. Tensioni e polemiche spesso strumentali da ambo le parti, secondo me. Quanto questo abbia pesato all’interno dell’unità di crisi lombarda, onestamente non lo so.
È un tema presente nelle agende di tutti. Ognuno col suo livello di capacità di approfondimento e di competenza, ma certamente tutte le forze di opposizione stanno pressando la Giunta, in maniera più o meno concreta, su questo punto. Va messo sotto la lente di ingrandimento il rapporto tra USCA, medici di medicina e ATS. E poi quello tra queste entità e ospedale. Nella catena di gestione di un paziente COVID-19 ci sono diversi anelli di fragilità, molti riguardano i rapporti che ho citato e il loro coordinamento. Due settimane fa è stato bocciato in Aula un mio emendamento per mettere a disposizione dei medici di medicina generale una piattaforma online per poter comunicare con le USCA. Si dice ai medici di medicina generale di non fare visite domiciliari e di contattare le USCA, poi si scopre che ATS Milano chiede ai medici di comunicare con le USCA solo via mail. Parliamo di visite domiciliari che vanno fatte con un certo grado di urgenza, da richiedere via mail. Possibile? E poi servirebbe anche un sistema di feedback sulla visita. A me sembrava buona l’idea di un canale di comunicazione ed informazione online, dedicato.
Questo è solo un piccolo esempio dei tanti cortocircuiti che, insieme, rallentano o addirittura paralizzano il sistema. Altro tema importante che riguarda il territorio è quello della sorveglianza, del tracciamento dei contatti. Ad oggi, non si sa chi faccia cosa. So di medici di medicina generale in attesa di risposte da ATS da settimane. Risposte che non arriveranno mai. In Regione Lombardia abbiamo assistito alla nascita di esperienze molto interessanti ed efficaci, ma sempre dal basso e a macchia di leopardo, sulla base dell’inventiva e delle capacità dei singoli. Così però non si va da nessuna parte.
Giorni fa, durante un dibattito istituzionale, il consigliere leghista Mariani, l’unico medico presente in Consiglio Regionale oltre a me, ha affermato che i medici di medicina generale non hanno nessun ruolo in questa pandemia di COVID-19. A questa assurda affermazione sono seguiti applausi, tra cui quelli dell’assessore Gallera. Questo è il livello di discussione parlamentare, che può fornire una chiave di lettura di quanto sia successo in Regione Lombardia negli ultimi due mesi e mezzo.
So dell’Hotel Michelangelo a Milano, che da fine marzo ospita soggetti COVID-19 positivi e/o contatti stretti con quarantena obbligatoria, che sono stati dimessi o non hanno avuto percorsi ospedalieri e non hanno alloggi idonei alla quarantena. E poi, sempre soggetti COVID-19 positivi e/o contatti stretti con quarantena obbligatoria che vivono in strutture collettive, come gli appartenenti alle Forze dell’Ordine. Ospitano anche persone senzatetto COVID-19 positive.
So anche di altre esperienze interessanti, come quello della struttura di via Carbonia a Milano nella quale sta operando anche Emergency, che viene utilizzata per le persone che hanno bisogno di isolarsi a tutela della propria e altrui salute, ma che non hanno a disposizione alcun alloggio. Qui l’isolamento volontario e preventivo viene fatto su base sintomatica, perché i tamponi sono sempre merce rara. Una strategia intelligente, secondo me, per tutelare le persone con sospetto di infezione e per limitare il possibile contagio. Su base volontaria, si tratta di servizi utili e da incoraggiare.
Io, Michele, se avessi febbre e tosse, sarei ben contento di poter stare in quarantena al di fuori di casa mia. La gestione della quarantena in casa con i familiari non è semplice, dal punto di vista pratico ed anche psicologico. Mi sembra quindi una strategia intelligente, doverosa, a basso costo. Se poi usiamo gli alberghi a prezzi calmierati riusciamo ad aiutare una categoria in crisi profonda. L'esperienza dell’Hotel Michelangelo va replicata in ogni provincia, in modo da avere una disponibilità di posti letto che risponda alle esigenze dei territori.
In questa nostra chiacchierata, ed anche in quella precedente, io non ho mai nascosto di essere convinto che questa Giunta regionale abbia grosse responsabilità nella gestione della pandemia di COVID-19. Sono stati commessi molti errori, diversi dei quali nascono lontano nel tempo. La situazione ha un elevato livello di gravità, questa incultura scientifica è tanto radicata. Cambiando un assessore, questa situazione, questa cultura, non cambiano. Io la chiamo “la sindrome di Giorgetti”, che l’anno scorso andava dicendo che quella del medico di medicina generale è una figura anacronistica che nessuno più usa, a cui ci si rivolge solo per avere un pezzo di carta e non pagare l’antibiotico in farmacia. Questa mancanza di competenze e di capacità di approfondire non cambia con la sostituzione di un assessore. Il rischio concreto, da evitare in questo momento, è che la poltrona di Gallera venga occupata da qualcuno peggiore di lui.
La soluzione con la S maiuscola non può che essere il passaggio dalla cabina elettorale. Io avrei votato con entusiasmo una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente Fontana, con l’obiettivo di mandare a casa l’intera Giunta. La mozione di sfiducia nei confronti del solo assessore Gallera mi è sembrata solo una battaglia d’immagine, non di sostanza. Al di là della mia astensione, la votazione è finita 49 a 23. Qual era l’obiettivo politico di chi ha presentato questa mozione? A me non è chiaro.
Molte persone che seguono il mio percorso politico sono rimaste deluse dalla mia decisione di astenermi. Se avessi pensato al mio tornaconto personale, a tener buono il mio elettorato, non mi sarei astenuto, avrei cercato di tener alta la mia popolarità. Ma la battaglia, lo ripeto, non era una battaglia di sostanza. Stiamo gestendo questa emergenza in un clima di ostilità, con responsabilità che tutti scaricano e che nessuno si assume. Per il Governo le responsabilità sono delle Regioni, per le Regioni sono del Governo. Questo balletto di responsabilità non porta nessun bene ai cittadini. Allo stesso modo, puntare il dito contro un presunto colpevole in piena emergenza, senza l’obiettivo di cambiare la maggioranza politica, secondo me non porta nessun bene ai cittadini. Avremmo aumentato il clima di ostilità senza risolvere il problema.
La gravità dei fatti avvenuti in Regione Lombardia, probabilmente il luogo al mondo con il più alto numero di morti COVID-19 per abitante, non può essere banalizzata in questo modo. È stata istituita una commissione d’inchiesta sull’emergenza COVID-19 regionale. Il presidente di questa commissione, da statuto, deve essere un membro di minoranza. Ecco, io mi candido a fare il presidente di questa commissione. Se nella fase 2 nulla deve essere come prima, allora ha senso iniziare a mettere in primo piano le competenze. È fuori di dubbio che il mio percorso di studi e professionale, con una solida esperienza clinica alle spalle, mi diano le competenze necessarie per svolgere questo ruolo. Sono l’unico medico, non c’è nessun altro. Dico questo con senso di responsabilità, in maniera umile, ma ferma. Credo che quello sia il luogo giusto per verificare ed approfondire gli errori e le responsabilità. Io in queste settimane ho raccolto diversi elementi. Alcuni mi inducono a pensare che Regione Lombardia abbia commesso gravi errori in determinati ambiti. In altri, sinceramente, non trovo colpe di Regione Lombardia, ma forse del governo nazionale o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Prima di emettere sentenze sulle responsabilità serve tempo, confronto, servono dati, tutti i dati. Questo sarà il lavoro della commissione d’inchiesta.