Proprio come avviene per altre polmoniti virali, anche nei pazienti COVID-19 ospedalizzati si osservano comunemente complicanze dovute ad infezioni batteriche e fungine. Una parte dei pazienti COVID-19 richiede una degenza prolungata in ospedale ed è quindi a maggior rischio di sviluppare infezioni batteriche e fungine acquisite in ospedale.
Le infezioni secondarie nei pazienti COVID-19 sono associate a esiti negativi. Secondo studi recenti, la coinfezione batterica all'ammissione è stata riportata nel 3,1-3,5% dei pazienti COVID-19, mentre le infezioni batteriche secondarie, dopo l'ospedalizzazione, si sono verificate fino al 15% dei pazienti. La superinfezione batterica determina un rischio più elevato di mortalità nei pazienti COVID-19.
La prevalenza e il profilo delle infezioni secondarie (SI) nei pazienti indiani COVID-19 non sono ben compresi. Uno studio pubblicato recentemente su Infectione and Drug Resistance si è posto l’obiettivo di comprendere l'eziologia e il profilo di resistenza antimicrobica delle infezioni secondarie batteriche e fungine e i successivi esiti clinici nei pazienti indiani COVID-19 ospedalizzati. Hanno partecipato allo studio 17.534 pazienti COVID-19 ricoverati in 10 ospedali dell’Indian Council of Medical Research (ICMR) tra il 1° giugno 2020 e il 30 agosto 2020.
Tra questi pazienti, l'incidenza complessiva delle infezioni secondarie è stata del 3,6% (640 pazienti). Dei pazienti con infezioni secondarie confermate, al momento dell’invio delle colture in laboratorio, 459 (71,7%) erano in terapia intensiva e 181 (28,3%) in altri reparti. Sul totale dei pazienti con diagnosi confermata di SI, la maggior parte (78%) dei pazienti ha acquisito infezioni batteriche/fungine secondarie in ospedale (>48 ore dal ricovero). I tassi di mortalità in questo studio erano significativamente più alti (56%) tra i pazienti con infezioni secondarie, rispetto ad un tasso di mortalità complessivo dell'11,6% nei pazienti ricoverati COVID-19.
Sul totale dei decessi dovuti alle SI, il 72% era attribuibile a patogeni Gram-negativi e l'11% a patogeni Gram-positivi. I patogeni Gram-negativi multiresistenti (K. pneumoniae e A. baumannii su tutti) erano i patogeni predominanti delle SI, e il tasso di resistenza ai carbapenemici di questi due patogeni era molto alto (72% e 92%, rispettivamente). La mortalità tra i pazienti con infezioni da K. pneumoniae e A. baumannii era rispettivamente del 76% e del 63%.
Distribuzione dei batteri e dei funghi patogeni isolati
Tra le infezioni secondarie nei pazienti COVID-19, K. pneumoniae estremamente resistente ai farmaci (XDR, extensively drug-resistant) e A. baumannii XDR costituivano quasi il 50% dei batteri isolati. Questo aspetto rappresenta una differenza con precedenti dati raccolti dall’ICMR, in cui era E. coli il patogeno più comunemente isolato, (tranne nei campioni respiratori, dove si riscontrava più spesso K. pneumoniae). Gli alti tassi di isolamento, insieme alla ridotta suscettibilità di K. pneumoniae a farmaci come piperacillina/tazobactam, cefoperazone/sulbactam e carbapenemici, costituiscono un campanello d’allarme.
Gli alti tassi di isolamento di A. baumannii resistente ai carbapenemici e di Pseudomonas aeruginosa indicano anche una fonte ambientale vicina al paziente, probabilmente data dalla scarsa igiene delle mani e dal mancato rispetto dei protocolli sull’uso dei DPI. Per quanto riguarda l’igiene della mani, tutti gli operatori sanitari durante la pandemia usano i guanti, per questo probabilmente molti non sentono la necessità di lavare spesso le mani e sottovalutano la trasmissione inter-paziente delle infezioni.
Secondo gli autori si sono evidenziate scarse pratiche di controllo delle infezioni e irrazionali prescrizioni di antibiotici. L'invio di colture appropriate, l'uso di biomarcatori come la procalcitonina e il galattomannano e il timeout antibiotico a 48 ore possono aiutare a ridurre le prescrizioni antibiotiche non necessarie. Seguire queste semplici ma efficaci misure può portare a ridurre le prescrizioni empiriche, portando a migliori risultati per il contenimento della resistenza antimicrobica durante questa pandemia.
Gli autori indicano anche di aver scoperto che il 10% dei pazienti (70/640) aveva assunto antimicotici senza alcuna evidenza di infezione fungina, cosa che giustifica un intervento mirato sull'uso razionale degli antimicotici.
Questo studio retrospettivo ha diverse limitazioni, tra le quali i diversi protocolli di invio delle colture tra i vari ospedali e la particolare tipologia di ospedali nei quali sono stati ricoverati i pazienti. Nonostante le limitazioni, secondo gli autori questo è il primo studio che fornisce informazioni su prevalenza e spettro delle infezioni secondarie batteriche e fungine tra i pazienti COVID-19 in India. Inoltre mette in evidenza un urgente bisogno di migliorare le pratiche di controllo delle infezioni negli ospedali e anche di razionalizzare le prescrizioni di antibiotici. La pratica rigorosa della stewardship antimicrobica aiuterà a ridurre la pressione selettiva, riducendo l’emergere di ceppi resistenti.
Questo studio fornisce una lezione importante sulla necessità di praticare una terapia diretta, utilizzando agenti a spettro ridotto, dalla categoria "Access" della classificazione AWaRe dell’OMS. Le prove scientifiche mostrano che per ottimizzare l'uso degli antibiotici e ridurre la resistenza, è necessario aumentare la proporzione degli antibiotici "Access" ad almeno il 60% del consumo nazionale e ridurre l'uso di quelli a maggior rischio di sviluppo di resistenza delle categorie "Watch" e "Reserve".
Fonte: Vijay S, Bansal N, Rao BK, Veeraraghavan B, Rodrigues C, Wattal C, Goyal JP, Tadepalli K, Mathur P, Venkateswaran R, Venkatasubramanian R, Khadanga S, Bhattacharya S, Mukherjee S, Baveja S, Sistla S, Panda S, Walia K. Secondary Infections in Hospitalized COVID-19 Patients: Indian Experience. Infect Drug Resist. 2021;14:1893-1903. https://doi.org/10.2147/IDR.S299774