In questi giorni abbiamo visto la diffusione di numerose esperienze ospedaliere e di protocolli diagnostico-terapeutici. Per quanto riguarda ciò che può essere fatto sul territorio, sentiamo la necessità estrema di essere più diffusivi del virus e fare arrivare ai medici del territorio le considerazioni che l’esperienza pilota della Lombardia ci restituisce, affinché avviino un cambiamento nelle strategie da mettere in pratica per limitare il contagio. Il tempo è poco.
L’utilizzo del tampone come strumento diagnostico sulla popolazione non ospedalizzata avrebbe senso solo se esistesse la possibilità di effettuare tamponi a tappeto, cosa ovviamente non sostenibile. Nelle ultime settimane sono stati effettuati tamponi soltanto a pazienti con criterio anamnestico positivo per contatto stretto e sintomatici.
L’eventuale esito positivo del tampone, come è noto, comporta l’attivazione della misura di isolamento domiciliare fiduciario. Anche prescindendo dalla quantità di falsi negativi (tra i pazienti ospedalizzati abbiamo visto parecchi pazienti con primo tampone negativo e secondo tampone positivo), esiste un grosso bias di selezione: sfuggono tutti coloro che non possono dimostrare il contatto con caso positivo. Allo stato attuale delle cose il suddetto criterio epidemiologico-clinico pare avere ben poco valore e ci sembra fallimentare una strategia di contenimento del contagio basata su queste premesse.
Ci sembrerebbe più sensato che, in questo momento di emergenza, i medici che operano sul territorio considerassero in maniera prudenziale tutti i pazienti con sintomatologia suggestiva come pazienti COVID-19 positivi fino a prova contraria. Ora che la necessità di limitare i contagi è imperativa sarebbe utile poter predisporre l’isolamento sulla base di una diagnosi presuntiva, attuandolo anche nei confronti dei conviventi mediante separazione degli spazi abitativi, utilizzo di DPI e disinfezione delle superfici. Sarebbe inoltre utile ragionare su quanto questo isolamento dovrebbe durare dopo la scomparsa dei sintomi (le Linee Guida Cinesi consigliano 14 giorni di isolamento dopo la dimissione).
Siamo convinti che, grazie al maggior grado di consapevolezza della popolazione rispetto allo stato d’allerta e ai decreti restrittivi già attuativi, la fattibilità dell’isolamento sia più facilitata in questo momento nel resto d’Italia rispetto a quanto non fosse in Lombardia nelle scorse settimane, prima della sospensione di scuole e attività commerciali. Ne viene di conseguenza l'urgenza di avviare un'indagine epidemiologica strutturata, a partire non solo dai casi positivi ma anche dai casi sospetti, per individuare quanto più precocemente i loro contatti da mettere in isolamento per un tempo adeguato.
E ricordiamoci che continuano a sfuggire i portatori asintomatici, i pazienti paucisintomatici e quelli con manifestazioni atipiche. Le misure restrittive devono essere pertanto raccomandate rigorosamente, indipendentemente dalla clinica e dal criterio epidemiologico.
Altra considerazione che ci preme riguarda i dispositivi di protezione personale (DPI). I medici, in quanto categoria esposta, corrono il rischio di ammalarsi e fungere da veicolo di trasmissione. Perciò sarebbe importante non soltanto visitare ogni paziente con sintomatologia suggestiva con i DPI adeguati, ma anche visitare ogni altro paziente utilizzando perlomeno mascherina chirurgica e guanti.
Le stesse misure andrebbero adottate ogniqualvolta si condividano spazi con colleghi ed con altri operatori sanitari.
In definitiva, le conclusioni che ci preme condividere sono:
Fonte: Gregorini S, Lazzarini S, Domenighini E, Alessi ME, Cardito M. Esperienza COVID Brescia 1. Documento pubblicato su Facebook