BLAZE-2 è uno studio randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo per valutare l'anticorpo monoclonale bamlanivimab nel contesto delle case di cura. Bamlanivimab è un anticorpo monoclonale autorizzato per l'uso di emergenza dalla U.S. Food and Drug Administration per il trattamento della COVID-19 da lieve a moderata in pazienti ad alto rischio.
Lo studio di fase 3 BLAZE-2 ha incluso 965 partecipanti risultati negativi al virus SARS-CoV-2 al basale (299 degenti e 666 membri del personale) nell'analisi degli endpoint primari e secondari per valutare il potenziale di bamlanivimab in termini di prevenzione, mentre 132 partecipanti (41 degenti e 91 personale) che sono risultati positivi al virus al basale sono stati inclusi nelle analisi esplorative per valutare il potenziale in termini di trattamento. Tutti i partecipanti sono stati randomizzati per assumere bamlanivimab o placebo.
Dopo 8 settimane di follow-up, si è evidenziata una frequenza significativamente inferiore di COVID-19 sintomatica (l'endpoint primario) nel braccio di trattamento con bamlanivimab rispetto al placebo (odds ratio 0,43, p=0,00021). Per il sottogruppo pre-specificato dei degenti delle case di cura, si è notata una frequenza significativamente più bassa di COVID-19 sintomatica in quelli trattati con bamlanivimab rispetto al placebo (odds ratio 0,20; p=0,00026).
Questi risultati suggeriscono che i degenti randomizzati a bamlanivimab hanno fino all'80% di rischio in meno di contrarre la COVID-19 rispetto ai degenti della stessa struttura randomizzati al placebo.
Nel corso dell'intero studio, ci sono stati un totale di 16 decessi riportati, compresi i decessi non correlati a COVID-19, e tutti i decessi riguardavano degenti (11 decessi nel braccio placebo e 5 nel braccio bamlanivimab). Un comitato indipendente di monitoraggio dei dati e della sicurezza ha supervisionato lo studio BLAZE-2. Nello studio, il profilo di sicurezza di bamlanivimab è stato coerente con le osservazioni degli studi di Fase 1 e Fase 2. Gli eventi avversi gravi sono stati riportati con una frequenza simile nei gruppi bamlanivimab e placebo.
«I risultati di questo studio innovativo supportano ulteriormente la convinzione che bamlanivimab - e potenzialmente altri anticorpi monoclonali - possano ridurre i sintomi e possano anche prevenire la COVID-19», ha detto il Dr. Myron S. Cohen, M.D., co-ricercatore principale del CoVPN e direttore dell’Institute for Global Health and Infectious Diseases presso l'Università del North Carolina a Chapel Hill. «L'attività antivirale vista con il trattamento bamlanivimab sottolinea l'importanza dell'intervento precoce per aiutare a contrastare l'impatto devastante che il virus ha avuto in questa popolazione vulnerabile e in altri pazienti ad alto rischio».
Il Dr. Andrew Garrett, Executive VP, Scientific Operations, ICON Clinical Research, ha detto: «La prevenzione dell'infezione sintomatica è attualmente concentrata sulla diffusione del vaccino, anche se ci può essere anche un ruolo importante per i trattamenti preventivi nei soggetti noti per essere esposti al virus. Questi risultati positivi sono da accogliere con favore e hanno il potenziale per estendere l'uso di bamlanivimab e sostenere la lotta contro il virus SARS-CoV-2».
Il Dr. Peter English, editore di Vaccines in Practice ed ex presidente del British Medical Association’s public health medicine committee, ha detto: «Sembra che prodotti come bamlanivimab possano essere efficaci in una fase molto precoce della malattia, idealmente già prima dell'infezione. È difficile capire esattamente come il bamlanivimab sia stato usato in questo studio, ma sembra principalmente come trattamento preventivo - un po' come la vaccinazione - anche se 132 dei 965 partecipanti al basale erano positivi al virus (suggerendo un'infezione in atto o un'infezione precedente con RNA residuo non vitale rilevato dal test RT-PCR).
In un certo senso, quindi, ha più senso confrontarlo con la vaccinazione. Gli studi sui vaccini sono di solito molto grandi: gli studi Pfizer-BioNtech ad esempio hanno arruolato 43.548 partecipanti. Questo in parte per motivi etici, perché somministrare un trattamento preventivo come la vaccinazione in un paziente sano è molto diverso dal dare un trattamento per una malattia. Quando qualcuno è malato, specialmente se la prognosi non è buona, può accettare un trattamento con una probabilità di successo inferiore e un profilo di eventi avversi peggiore rispetto a quando si offre un trattamento preventivo a qualcuno che sta bene. Quindi, con i vaccini, è molto importante rilevare anche eventi avversi abbastanza rari ed essere abbastanza sicuri della loro efficacia.
Come trattamento preventivo ci si potrebbe aspettare che lo stesso valga per bamlanivimab, ma questo studio di fase III, con meno di 1000 partecipanti, è piccolo rispetto agli studi sui vaccini. Va detto che è stato utilizzato in una popolazione precisa, quella delle case di cura. Le popolazioni delle case di cura sono state particolarmente colpite dalla COVID-19, quindi può essere accettabile fare considerazioni diverse in merito ai rapporti rischio-beneficio e costo-beneficio.
I risultati sono incoraggianti - approssimativamente paragonabili a un vaccino con 64% o 80% di efficacia. Tuttavia, il follow-up è stato solo di 8 settimane e, poiché i destinatari hanno ricevuto solo anticorpi passivi, il cui livello diminuisce nel tempo (al contrario di avere un sistema immunitario innescato con un'immunità potenzialmente a lungo termine), non è chiaro per quanto tempo questa protezione sarebbe durata.
Il comunicato stampa non menziona i costi del trattamento. La mia ipotesi è che una dose di bamlanivimab sarà molto più costosa, e fornirà una durata di protezione più breve, rispetto al vaccino.
Quindi non è chiaro quale sia o sarà il mercato del bamlanivimab. Potrebbe avere un posto nella profilassi nelle case di cura, dove i degenti sono a rischio particolarmente alto, dopo l'esposizione. Il rapporto costo-efficacia di un uso diffuso deve ancora essere stabilito».
La professoressa Eleanor Riley, docente di immunologia e malattie infettive dell'Università di Edimburgo, ha detto: «Il lancio dei vaccini COVID-19 dovrebbe ridurre notevolmente la necessità di questi trattamenti (anticorpi monoclonali, ndr), ma ci sarà sempre una piccola parte della popolazione che non potrà essere vaccinata o che non risponderà bene alla vaccinazione a causa delle condizioni di salute, tra cui immunodeficienze e terapie immunosoppressive. Terapie come il bamlanivimab potrebbero essere molto preziose per il trattamento di tali individui se dovessero contrarre l'infezione e potrebbero anche trovare uso per la prevenzione dell'infezione in individui vulnerabili e non immuni prima di andare in ospedale o iniziare un ciclo di terapia immunosoppressiva, per esempio.
Questa notizia è particolarmente incoraggiante dato che due importanti studi sul plasma iperimmune sono stati interrotti per mancanza di efficacia. L'elevata efficacia di bamlanivimab è dovuta al fatto che si tratta di un singolo anticorpo selezionato per un elevato effetto neutralizzante tra la miscela molto ampia e variegata di anticorpi presenti nel plasma iperimmune, molti dei quali hanno poca o nessuna capacità di neutralizzazione. Tuttavia, il legame altamente specifico di bamlanivimab a una particolare variante della proteina spike significa che potrebbe essere meno efficace contro alcune varianti del virus e questo dovrà essere monitorato».
Fonti: Press release - Eli Lilly and Company. Lilly's neutralizing antibody bamlanivimab (LY-CoV555) prevented COVID-19 at nursing homes in the BLAZE-2 trial, reducing risk by up to 80 percent for residents. January 21, 2021
Science Media Centre. Expert reaction to press release from Lilly about their neutralising antibody bamlanivimab and results from the BLAZE-2 trial looking at prevention of COVID-19 in nursing homes in the US. January 21, 2021