Dr.ssa Preisig: "Il diritto di morire può aiutarci a vivere"

<p align="justify">Erika Preisig è un medico di famiglia che lavora in Svizzera. Nella sua carriera, ha assistito oltre 700 malati terminali.</p>

Il diritto di morire può aiutarci a vivere

“Mio padre giace morto sul divano; il suo volto scavato dalle rughe e segnato dalla vita è disteso e tranquillo. La sua testa riposa sul suo cuscino preferito, sul quale uno stallone bianco dalla criniera fluente galoppa verso la libertà.
È morto all’inizio della tempesta, di sua spontanea volontà. Il suo desiderio più caro è stato esaudito.” - Erika Preisig

Dott.ssa Preisig, come è arrivata ad accompagnare le persone nel suicidio assistito?

È stato un percorso lungo ed emotivamente difficile. Ho dovuto liberarmi a poco a poco di un profondo senso di colpa per arrivare alla serenità che vivo oggi. Questo viaggio è cominciato con la morte di mio padre.
Prima di aiutarlo a morire, avevo già esercitato per vent'anni la professione di medico di famiglia e avevo assistito molti pazienti nelle cure palliative. Spesso andava bene, ma ho anche visto persone morire in condizioni che non augurerei mai a nessuno, a rantolare per diversi giorni. È dura per i parenti, e come si fa a essere sicuri che il malato non stia soffrendo?

Nel 2005 mio padre viveva a casa con me e i miei figli. Soffriva di emiplegia destra fin dal suo primo ictus, avuto quattro anni prima. "Se non potrò più camminare, dovrò imparare a cavalcare", aveva detto dall’alto dei suoi 80 anni. E lo fece. Tutti lo scoraggiavano, ma nonostante la sua disabilità riusciva a cavalcare un pony regolarmente.
Una recidiva di ictus lo lasciò afasico. Per lui questo era insopportabile. Mio padre era un uomo che conosceva un sacco di cose. Ricordo che si batteva disperatamente la testa con il suo grosso pugno. Un giorno, lo trovai a terra, in stato comatoso: aveva ingerito tutte le medicine che avevamo in casa, con molto vino. Iniziai ad avere dei dubbi. Perché una persona dovrebbe soffrire così tanto e vedersi negata una morte tanto desiderata? Poi, mi mostrava immagini di treni. Il suo piano era chiaro: si sarebbe gettato sui binari.
Le associazioni Exit e Dignitas, che si occupano di suicidio assistito in Svizzera, esistevano già nel 2005. Per Exit, bisognava essere membri da almeno sei mesi. Mio padre non avrebbe mai resistito così a lungo. Ma Dignitas mi spiegò che, essendo io un medico, potevo occuparmi delle pratiche burocratiche: la stesura di un rapporto preliminare e la prescrizione di sodio pentobarbital. Per me questa era una prospettiva terribile.  
Un collega si offrì di aiutarmi. Visitò mio padre tre volte, a lungo, e poté confermare che non era depresso, che era capace di intendere e che voleva davvero morire. Fu un enorme sollievo non essere l’unica ad aver dato a mio padre il “via libera” al suicidio assistito.

Pochi giorni prima del suicidio assistito, durante una cerimonia religiosa per mio figlio, mio padre riuscì a farci ridere. Era sollevato. Solo uno dei miei fratelli ed io sapevamo che il suicidio assistito era già programmato. Due dei miei figli, adolescenti, capirono dopo che mio padre stava pensando al suicidio e che io lo avrei aiutato a trovare una via d'uscita serena. Poterono dirgli addio, in tranquillità, senza sapere quando sarebbe accaduto.
Il 3 maggio 2005, nella sua camera da letto, a casa mia, mio padre bevve il farmaco e poi un sorso di vino. Appoggiò la testa sulla mia spalla e si addormentò.

 

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Erika Preisig e suo padre, due giorni prima del suicidio assistito

Dopo questo evento iniziò subito a promuovere il suicidio assistito?

La fine di mio padre fu dolce, ma per me il seguito fu complicato. Vengo da una famiglia molto religiosa. I miei genitori erano membri attivi dell'Esercito della Salvezza e per questo sono cresciuta nella paura della punizione divina. Dopo la morte di mio padre, fui a lungo convinta che sarei stata punita, che i miei figli avrebbero avuto un incidente… facevo degli incubi.
Un anno dopo, la moglie di uno dei miei pazienti mi chiamò. Il marito era affetto da carcinoma con metastasi. Pur conoscendo le possibilità delle cure palliative, le aveva appena detto che si sarebbe ucciso. Era un ex militare, molto determinato. Aveva un’arma nascosta in casa. Per guadagnare tempo, le promisi che avremmo trovato una soluzione insieme.
La sera andai a casa loro. Il marito mi descrisse precisamente, davanti alla moglie, come intendeva procedere. Quando gli domandai se volesse imporre alla moglie la scoperta del suo corpo deturpato, lui scoppiò a piangere. Così, riuscii a convincerlo ad accettare un ritardo di una settimana. Dignitas accettò di organizzare il suicidio assistito rapidamente. Quel giorno, mentre quest'uomo teneva la mano di sua moglie, le disse "grazie" forte e chiaro e assunse il farmaco. Poi aggiunse: “Presto saremo di nuovo insieme, ti amo”.
Entrambi i suicidi assistiti, quello di mio padre e quello di questo paziente, furono momenti sereni e positivi. Iniziai a lavorare con Dignitas l'anno successivo.

Dopo diversi anni al servizio di Dignitas, ha creato Lifecircle e Eternal Spirit1. Di cosa si tratta?   

Credo che prima di parlare di suicidio assistito si debba sempre dare speranza. Questo è il ruolo dell'associazione Lifecircle: migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono molto, se possibile, per dare loro la voglia di vivere. Li indirizziamo verso cure palliative adeguate o li aiutiamo a recuperare una certa indipendenza.
Allo stesso tempo, garantiamo loro il diritto di scegliere il momento della loro morte. Sapere che potranno morire quando la sofferenza diventerà insopportabile dà loro un grande sollievo. E non spetta a un medico decidere se questa sofferenza è accettabile o meno. Non spetta a me decidere se una persona diventata cieca, che non riesce più a vivere così, abbia il diritto di morire.
Circa il 50% delle persone che si uniscono a Lifecircle alla fine rinunciano al suicidio assistito. Tra coloro che si rivolgono a noi dall'estero, solo un terzo viene effettivamente in Svizzera. Coloro che desiderano ancora accedere al suicidio assistito vengono indirizzati verso la Fondazione Eternal Spirit, che è parte integrante di Lifecircle. Non si tratta di opporsi al desiderio di vita e di morte, ma di capire che queste nozioni sono connesse. Sapere che abbiamo il diritto di morire può aiutarci a vivere.

L'esempio più emblematico di questo intreccio tra vita e morte è, secondo me, quello di un paziente con sindrome locked-in. Quando l’ho conosciuto, non aveva assolutamente alcuna mobilità. Purtroppo però, per accedere al suicidio assistito, la persona deve almeno essere in grado di azionare da sola una piccola leva per rilasciare il flusso del farmaco letale nel tubo. Quest'uomo mi implorava di farlo morire, ma è una cosa che non farò mai. Non voglio uccidere nessuno.
Ho incoraggiato questo paziente a iniziare la riabilitazione, nella speranza che potesse muovere almeno un dito. Gli ci sono voluti tre mesi. Poco a poco, e grazie all’immancabile sostegno della moglie, ha riacquistato la mobilità sufficiente per poter utilizzare una sedia a rotelle elettrica e un computer. Quest'uomo ha vissuto per altri tre anni a casa prima di morire per un'emorragia cerebrale. Sapere che ci saremmo stati, se avesse scelto di morire, gli ha permesso di vivere di nuovo.
Ripenso anche a quell’uomo venuto dagli Stati Uniti per il suicidio assistito. Prima di addormentarsi, ha detto a sua moglie: “Sai, se ci sarà un’altra vita, ti sceglierò di nuovo come mia sposa”. Credo che sentire questo dia alla persona sopravvissuta una sorta di energia per continuare a vivere.
In Svizzera, il suicidio assistito è autorizzato nelle case di riposo. All’inizio temevo una sorta di “contaminazione”, che vedendoci farlo anche gli altri ospiti avrebbero chiesto di morire. Ma in realtà, non è successo. La maggior parte delle persone vuole vivere!
 

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Il dispositivo che consente al paziente di rilasciare autonomamente il flusso del farmaco letale

Lifecircle è impegnata sia nella prevenzione del suicidio che nel suicidio assistito. Non è paradossale?

Non c’è alcun collegamento tra il suicidio assistito e morti come quelle che mio padre o l'ex militare che ho citato avevano programmato. I suicidi "violenti" spesso falliscono, lasciando la persona in una sofferenza ancora maggiore. Quanto ai parenti, essi si ritrovano di fronte a una morte brutale, a immagini traumatiche e a grandi sensi di colpa. Con il suicidio assistito, possono accompagnare la persona nel suo percorso, condividendo momenti di affetto allo stesso tempo intensi e tranquilli fino alla fine.    

Quali sono le differenze tra Lifecircle ed Eternal Spirit da un lato ed Exit o Dignitas dall'altro?

Quando lavoravo per Dignitas, c'erano diversi aspetti che non mi piacevano. È per questo che nel 2010 me ne sono andata per creare Lifecircle e Eternal Spirit. Innanzitutto, come ho spiegato, volevo dare una possibilità alla vita attraverso Lifecircle prima di proporre la morte.   
In secondo luogo, volevo allontanare qualsiasi sospetto sul "business del suicidio assistito". Per questo motivo abbiamo scelto uno statuto che prevede un controllo delle nostre finanze due volte all'anno. Lifecircle non ha come obiettivo il profitto. Per quanto mi riguarda, il mio reddito deriva dal mio lavoro di medico e non dal suicidio assistito. Questa trasparenza ci protegge da qualsiasi accusa di abuso.

Un altro aspetto importante è rappresentato dalle condizioni in cui viene effettuato il suicidio assistito. Con Exit o Dignitas, non è presente alcun caregiver. La persona ingerisce i 15 mg di pentobarbital sodio da sola. Si tratta di un prodotto molto amaro, che può far bruciare lo stomaco e persino provocare il vomito. L'effetto dura a lungo: 2-3 minuti prima di addormentarsi e poi altri 30 minuti fino alla morte. Se va male, come ho visto a volte quando lavoravo per Dignitas, la persona può soffrire ed è questa immagine che poi i parenti conservano.
Il suicidio assistito praticato da Eternal Spirit prevede la presenza di un medico o di un infermiere. Il farmaco può essere somministrato o per via orale o per via endovenosa. Quest’ultima viene scelta nel 99% dei casi. Questo significa anche che possiamo proporre il suicidio assistito a persone che non sono in grado di tenere in mano un bicchiere o di bere, cosa molto comune nelle malattie neurodegenerative. Devono semplicemente essere in grado di azionare la leva che libera il tubo. Questo può essere fatto con un dito, con la testa o anche con la lingua. L'effetto del prodotto è molto più rapido quando viene somministrato per via endovenosa, la persona si addormenta tranquillamente entro 30 secondi e l'arresto cardiaco avviene dopo pochi minuti.
L'ultima ragione per cui ho lasciato Dignitas è stata quella di impegnarmi maggiormente nella legalizzazione del suicidio assistito nel mondo. Ogni anno partecipo a circa 80 eventi con Eternal Spirit. Potrei partecipare a molti altri, ma voglio dedicare del tempo alla lotta politica. Questa battaglia mi sta a cuore.

Perché si batte per la legalizzazione del suicidio assistito in tutto il mondo?

Non ho alcuna riserva sul suicidio assistito, tranne che per il "turismo della morte". Tuttavia, l'80% delle persone che accompagniamo proviene dall'estero. Ho visto troppe persone venire da lontano, in condizioni disumane, per morire in Svizzera. Nessun medico accetterebbe di trasportare un paziente in questo stato. Ma queste persone non avevano scelta.
Sono andata a Londra, al capezzale di un uomo molto ricco che era diventato tetraplegico dopo un incidente stradale. Quando ho provato a mettere la mia mano sulla sua, coperta di ovatta, ha urlato. Soffriva di una neuropatia estremamente dolorosa: non appena sentiva nel corridoio i passi degli infermieri che venivano a mobilitarlo, iniziava a urlare. Si fermava solo dopo che se ne erano andati. E ricominciava ogni due ore.
È stato necessario che le figlie di quest’uomo lo portassero all'aeroporto in ambulanza, lo trasferissero su un jet privato e poi di nuovo in ambulanza fino all'appartamento di Eternal Spirit. È disumano. Disumano. Non ha nessun senso. Quando è arrivato il momento della morte, era pieno di gratitudine. Ma avrei tanto voluto aiutarlo a morire lì, a casa sua.

Fortunatamente la situazione sta cambiando. Negli Stati Uniti, dodici Stati offrono il suicidio assistito, ma solo alle persone che vi risiedono. Da poco, in Oregon è accessibile anche alle persone provenienti da altri stati. Anche la Colombia ha appena autorizzato i medici ad assistere alla morte volontaria, una novità assoluta in America Latina.
I paesi anglosassoni sono avanti. Il suicidio assistito esiste in Canada, Nuova Zelanda e in cinque dei sei stati australiani. In Europa, Spagna, Austria e Germania sono all'avanguardia, anche se in Germania la legislazione non è ancora perfetta. Inghilterra e Francia restano indietro.  
Al momento, due Francesi stanno aspettando di venire in Svizzera per morire. Vorrebbero che ciò venisse fatto il prima possibile. Uno soffre della malattia di Charcot, l'altro della corea di Huntington. A entrambi, nonostante i crampi e il dolore, è stata rifiutata una sedazione profonda e continua fino alla morte.
Ho accompagnato nel suicidio assistito anche una donna del sud della Francia il cui marito e i cui tre figli sono medici. Una di loro si occupa di cure palliative. So che questa famiglia sostiene la mia battaglia. Mi chiedo: “Perché? Perché in dei paesi in cui l’aborto è legale il diritto di morire è ancora negato?”.

Secondo lei, che legame c'è tra il suicidio assistito e l'eutanasia?

Vorrei che ogni persona sulla Terra potesse scegliere come morire. Siamo ben lontani da questo: anche in Svizzera, solo l'1,5% delle persone che muoiono ha scelto il suicidio assistito. Mi chiedo in quali condizioni muoiano gli altri, negli ospedali o nelle case di riposo. Spero che abbiano una morte serena.
Invece, sono contraria all’eutanasia. Con il suicidio assistito, è il paziente ad assumersi la responsabilità. Il medico si assicura che tutto avvenga nel miglior modo possibile, ma non interviene. I medici non dovrebbero decidere se una vita non è più degna di essere vissuta. Se i medici possono decidere di fare l'iniezione, come si fa ad essere sicuri che questa sia davvero la volontà dei pazienti?

Tuttavia, vorrei fare due collegamenti tra il suicidio assistito e l'eutanasia. In primo luogo, nei Paesi del Benelux in cui l'eutanasia è legale, il tasso di morte per suicidio assistito è del 4 o 5%. L'accettazione di una morte indotta è maggiore.
In secondo luogo, sono convinta che non si debba mai costringere un medico a praticare l'una o l'altra. Per me è stato molto difficile abituarmi al suicidio assistito. Forse se mio padre non fosse morto in questo modo, mi occuperei ancora solo di cure palliative.

Quali sono le fasi di un suicidio assistito?

Per i pazienti svizzeri, il suicidio assistito si svolge solitamente a casa. Scelgono di venire nella sede di Eternal Spirit a Basilea solo nel caso in cui una persona cara continui a vivere nella loro casa e non voglia associarla alla morte.
Nei giorni precedenti al suicidio assistito, ci sono sempre due consulti, con due medici diversi, a distanza di 24 ore l'uno dall'altro. È importante condividere la responsabilità in questo modo. Se uno di loro si oppone, il suicidio assistito non può avere luogo. Il primo medico è incaricato di prescrivere il pentobarbital sodio.
Il giorno successivo al secondo consulto, alle 9 del mattino, siamo al fianco della persona, con i suoi familiari, e posizioniamo un catetere venoso. Poi, per motivi legali, iniziamo a filmare.
Chiediamo alla persona il suo nome, la data di nascita e il motivo per cui è con noi. Deve poi dirci cosa succederà quando aprirà il rubinetto della flebo. Queste quattro domande dimostrano la sua capacità di discernimento. Smettiamo di filmare quando il farmaco inizia a scorrere nella flebo. Quello che succede dopo riguarda solo i parenti.

Poi chiamiamo la polizia. Il medico legale viene a constatare il decesso e che non ci sono segni di morte violenta, come lo strangolamento. Deve spogliare la persona. Questo è l'unico limite della via endovenosa: l’esame medico-legale è più approfondito. Costringere qualcuno a bere una soluzione letale lascia dei segni. In questo caso, il medico legale deve accertarsi che sia stata la persona stessa ad aprire il rubinetto della flebo.
Questa procedura è pesante e irrispettosa. Nel caso di mio padre, c'era stata persino un'autopsia, cosa che lui avrebbe rifiutato. Filmiamo i suicidi assistiti nella speranza che un giorno questa procedura medico-legale venga semplificata. Avevo chiesto che qualcuno della polizia fosse presente all'inizio della procedura, per verificarne la legalità. Questo non è possibile perché lo statuto della polizia prevede che si debba impedire un suicidio a tutti i costi.

La procedura è la stessa per chi viene dall'estero?

La procedura è la stessa, ma prima studiamo molto attentamente la cartella clinica della persona. Abbiamo dei colloqui con lei per mesi, in videoconferenza. Immagini se una persona venisse dall'altra parte del mondo con la speranza di sottoporsi al suicidio assistito e uno dei medici fosse contrario… Sarebbe drammatico. Dopo aver fissato una data, la persona arriva a Basilea 48 ore prima del suicidio assistito, dopodiché la procedura è la stessa.

E per le persone con problemi di salute mentale?

Questo è un caso complesso che mi ha messo in difficoltà dal punto di vista legale. Sei anni fa sono stata accusata dell'omicidio di una signora svizzera molto anziana. Era ricoverata in un reparto psichiatrico da tre mesi e le era stata diagnosticata una depressione. Ho parlato con suo figlio, con il direttore della casa di riposo dove era ricoverata e con la sua portinaia. Ma non sono riuscita a trovare uno psichiatra che valutasse la sua capacità di discernimento.
Sono stato processata per omicidio volontario, su richiesta del pubblico ministero. Rischiavo cinque anni di prigione. Alla fine sono stata condannata a 15 mesi di reclusione con la condizionale e a una multa di 20.000 franchi2 per aver violato la legge sugli agenti terapeutici. Posso continuare a praticare il suicidio assistito, ma mi è vietato prescrivere il pentobarbital sodio a pazienti con disturbi mentali. Non è ancora finita: l'accusa ha fatto ricorso e sarò nuovamente processata dal Tribunale federale, la massima autorità giudiziaria. Sono molto in ansia. Nel frattempo, preferisco non assistere più ai suicidi assistiti, se ne occupa un'infermiera.

La questione che si pone quando una persona con un disturbo mentale desidera richiedere un suicidio assistito è se il suo disturbo influisce sulla sua capacità di discernimento. Per le demenze di origine neurodegenerativa, la situazione è più chiara. Un neurologo controlla regolarmente la capacità di discernimento, con esami sempre più frequenti. Spetta al neurologo comunicare al paziente che è giunto il momento di eseguire il suicidio assistito e che oltre quel momento non sarà più in grado di rispondere alle domande.
Per quanto riguarda i disturbi psichiatrici, i giudici nel mio caso hanno sottolineato che l'autodeterminazione "si applica anche alle persone con malattie psichiatriche". Sono d'accordo. Il suicidio assistito dovrebbe essere consentito se, nonostante le cure, una persona ritiene di soffrire troppo intensamente di schizofrenia, disturbo bipolare o depressione grave. In questi casi si può fare un parallelo con una patologia somatica incurabile.
La difficoltà attuale risiede nel rifiuto degli psichiatri di valutare la capacità di discernimento. Non a caso, durante il mio processo, l'accusa si basava sulla relazione di uno psichiatra. Fortunatamente, dopo aver ascoltato le testimonianze di altri caregiver e parenti, i giudici hanno chiesto di vedere il video girato il giorno del suicidio assistito. Il desiderio della persona di morire e la sua capacità di discernimento erano evidenti.
La maggior parte delle persone che cercano aiuto presso Eternal Spirit sono straniere. Quando soffrono di malattie mentali, non abbiamo la possibilità di aiutarli.

Cosa succede se una coppia chiede di morire insieme?

Questa è una situazione comune: uno è molto malato, l'altro presenta solo comorbilità legate all'età. Entrambi vogliono morire, insieme. Mi sono trovata di fronte a questo caso proprio all'inizio di Lifecircle. L'uomo era malato terminale, ma la moglie era in forma per avere 80 anni. Si conoscevano fin dall'asilo. Già all’epoca dicevano che avrebbero trascorso la loro vita insieme.
Exit aveva rifiutato la richiesta di un suicidio assistito simultaneo. La donna mi ha detto semplicemente: “Se rifiuta, sa, mi ucciderò subito dopo. So che potete internarmi in un reparto psichiatrico per sei giorni, non importa, mi ucciderò subito dopo”. L'uomo era in cura da uno psichiatra. Ho chiesto alla moglie di vederlo per ottenere un certificato che attestasse la sua capacità di discernimento.
Il giorno del loro suicidio assistito, abbiamo commesso un errore. Nell'appartamento di Eternal Spirit avevamo solo un letto singolo. Volevo mettere una sedia a sdraio accanto al letto per lei. Si sono messi a ridere e lei mi ha detto: “Signora Preisig, abbiamo fatto l'amore per la prima volta in un lettino come questo, andrà benissimo”. Hanno aperto la flebo e sono morti così, aggrappati l'uno all'altra come lo erano stati un tempo nell’amore.

Il caso Pierre Beck segna un'evoluzione nella percezione di questo tipo di richieste. Può spiegarcelo?

Anche il mio collega Pierre Beck, che è stato il vicepresidente di Exit della Svizzera francese, è stato citato in giudizio. Aveva prescritto il pentobarbital sodio a una donna di 86 anni in buona salute che desiderava morire insieme al marito malato. Pierre Beck era stato profondamente colpito due anni prima dal suicidio di un uomo a cui un medico dell'Exit aveva rifiutato il suicidio assistito. Non appena era morta la moglie, il marito aveva lasciato la stanza, era sceso in cantina e si era sparato alla testa.
Nel 2020, Pierre Beck è stato condannato per la prima volta, da due tribunali diversi, per aver violato il Codice deontologico. Il Tribunale federale ha annullato la condanna, stabilendo che in questa situazione non era punibile fornire un farmaco a una persona non malata.
 
In effetti, secondo la legge svizzera, solo il suicidio assistito motivato da ragioni egoistiche è punibile. Pierre Beck avrebbe potuto dare alla donna un fucile e insegnarle a sparare e ciò sarebbe stato legale. Nel nostro codice penale, il fatto che si tratti di un medico o di un'altra persona non fa differenza, così come il mezzo utilizzato. Allora come poter condannare un medico per aver permesso una morte sicura e dolce?
Alla fine, Pierre Beck è stato deferito alla Corte di Giustizia del Cantone di Ginevra per un nuovo processo in base alla legge sugli stupefacenti.

Quali sono le persone che ha accompagnato che hanno avuto il maggiore impatto su di lei?

Paradossalmente, tra tutte le situazioni sconvolgenti a cui ho assistito, posso citarne due in cui non si è verificato un suicidio assistito. Queste sono avvenute prima di Lifecircle.
Ricordo una donna che aveva un carcinoma polmonare. Soffriva molto e voleva avere accesso al suicidio assistito. Suo marito, che era molto religioso, era contrario. Nonostante le cure palliative, l'agonia è durata diversi giorni. Alla fine, l’uomo mi ha pregato di iniettare una dose letale di morfina o di far arrivare Exit. Ma ormai era troppo tardi perché non potevamo più avere il consenso della paziente.

Anche l'altra situazione è legata alla religione. Un prete cattolico molto anziano era gravemente menomato da gravi problemi di vista e di udito. Non aveva una patologia incurabile, ma voleva comunque morire. Lo chiamiamo “suicidio di bilancio”.  
Sua figlia (era stato sposato prima di prendere i voti) si occupava molto di lui e ha accettato di portarlo in Svizzera. In cuor mio ero convinta che fosse troppo presto per il suicidio assistito. Invece lui era determinato. Tuttavia, due giorni dopo aveva cambiato idea.
Questo prete mi ha raccontato di avere avuto una “ispirazione divina” pregando in una cappella poco prima del suicidio assistito. Era venuto in Svizzera non per morire, ma per dirmi che il mio lavoro era apprezzato da Dio. Una volta compiuta la sua missione, poteva rientrare a casa, sapendo che sarebbe potuto tornare più tardi per il suicidio assistito.  

Qual è la posizione dei medici svizzeri sul suicidio assistito?

Quando un paziente chiede al proprio medico la prescrizione di pentobarbital sodio, solo il 30% acconsente. All'interno di Eternal Spirit, diversi colleghi fanno una visita e scrivono queste prescrizioni, ma io sono l'unica che accetta di essere presente il giorno del suicidio assistito. Per il momento non ho un “successore”. All'Exit, che rivendica più di mille suicidi assistiti l'anno, non è mai presente un medico. Ciò rispecchia bene il dibattito sul suicidio assistito che sta agitando il mondo medico.

L'Accademia Svizzera delle Scienze Mediche (ASSM) è responsabile in particolar modo delle questioni di etica medica. È l'organo che elabora le linee guida per la pratica medica. L'ASSM aveva una posizione piuttosto restrittiva nei confronti del suicidio assistito, ma l'arrivo di un nuovo presidente nel 2016 ha cambiato le cose. Si trattava di un professore di anestesia e rianimazione.
Nel 2018 l'ASSM ha redatto le linee guida medico-etiche "Comportamento di fronte al fine vita e alla morte". Questo testo specificava che quando una persona sente che la sua sofferenza è insopportabile, ha il diritto di chiedere di morire. La FMH (Foederatio Medicorum Helveticorum, l'associazione professionale dei medici in Svizzera) ha ritenuto che i due capitoli sul suicidio assistito si spingessero troppo in là e ha rifiutato di incorporare queste linee guida nel suo Codice deontologico. Questa indeterminatezza ha messo in crisi molti colleghi.
Una nuova versione delle linee guida dell'ASSM3 è stata appena approvata dalla FMH [19 maggio 2022]. Questo testo specifica che non è compito del medico proporre o eseguire il suicidio assistito, che non è un atto medico, ma che è legalmente ammissibile e “giustificabile dal punto di vista medico-etico” a determinate condizioni.

Note e approfondimenti:

  1. Lifecircle e Eternal Spirit: 
    https://www.lifecircle.ch/ueber-uns/gruendung-lifecircle/
    https://www.eternalspirit.ch/
  2. Un franco svizzero (CHF) equivale più o meno a un euro.
  3. ASSM - "Guidelines: Management of dying and death" https://www.samw.ch/en/Ethics/Topics-A-to-Z/Dying-and-death.html (capitolo 6.2.1 : "Assisted suicide").