La scintilla iniziale che lo ha portato a includere la morte nella sua vita di medico è scoccata diverso tempo fa. Poco dopo la caduta del Muro di Berlino, che Ullrich Fleck visse facendo il chirurgo a Erfurt, il suo medico mentore si ammalò e infine morì a soli 52 anni. Nemmeno la "nuova" medicina occidentale era riuscita a salvare il suo venerato maestro. In questa intervista rilasciata a esanum, il Dottor Ullrich Fleck ci racconta come fa a trovare un equilibrio tra le cure di fine vita consentite e l'eutanasia (spesso richiesta dai pazienti), come funziona il lavoro nei centri di cure palliative del Brandeburgo e perché è così importante che le assicurazioni sanitarie si attengano a tariffe forfettarie diverse per ogni caso invece di far pagare i singoli servizi.
Nel 2008, il governo federale del Brandeburgo ha commissionato una perizia, nella quale siamo stati scelti come leader grazie alla nostra Associazione per le Cure palliative e l'Hospice. Alla fine della collaborazione è stato deliberato che venissero creati dei centri di cure palliative, circa dieci in tutto lo stato del Brandeburgo. E poiché ero già coinvolto in queste strutture e nell'Ordine dei Medici dello Stato, siamo riusciti a ottenere la gestione di uno di questi centri. Dunque, la nostra AAPV per le cure mediche palliative generali (in tedesco: allgemeine ärztliche Palliativ-Versorgung), è diventata una SAPV per le cure mediche palliative specializzate (in tedesco: spezialisierte ärztliche Palliativ-Versorgung), dove lavorano medici con un’apposita formazione aggiuntiva. Non fanno parte del team solo medici di famiglia, che comunque sono già molto occupati, ma anche medici ospedalieri e medici esperti specializzati in aree diverse. Per poter lavorare in uno di questi centri, il medico ha bisogno di una formazione aggiuntiva in medicina palliativa.
Le porto l’esempio di un paziente di 74 anni con un cancro al colon. Il suo medico di famiglia non riusciva più a gestire la situazione. Chiameremo il paziente Paul. Qualche anno prima, il tumore all'intestino era stato rimosso chirurgicamente. Ma poi, a distanza di molti anni, come spesso accade, si sono formate piccole metastasi in tutto il peritoneo. Ha avuto un'ostruzione intestinale, è stato operato di nuovo, sottoposto a colostomia, dimesso con una deviazione rettale da cui fuoriuscivano le feci dell’intestino tenue. La gestione post-operatoria non è stata semplice, perché le feci che fuoriescono sono aggressive e irritano la pelle quando vengono a contatto con essa. Ma in collaborazione con il team infermieristico, che ha gestito la situazione in modo molto professionale, il paziente è riuscito a riprendersi dall’ostruzione ed è stato bene per un po’. Tuttavia, le metastasi hanno continuato a svilupparsi e così si è verificata una successiva ostruzione intestinale. Si era cosìriproposta la situazione in cui occorreva decidere se lasciare che l’ostruzione intestinale portasse il paziente al decesso o se tentare di risolverla e dargli di nuovo del tempo. Una volta al mese si riproponeva questa situazione particolare di blocco intestinale, con vomito delle feci, e la condizione era associata a grande sofferenza per il paziente. Allora ci chiedevamo, è davvero necessario continuare a torturarlo in questo modo?
Alla fine, siamo riusciti a dargli più di nove mesi di tempo e di buona qualità di vita. Il paziente riusciva anche a stare molto a lungo in giardino con la sua compagna; poi, alla fine, è morto. Aveva molte paure, queste siamo riusciti ad allontanarle con l’utilizzo di farmaci potenti. È riuscito a dire addio alla sua famiglia. Si è addormentato progressivamente, in serenità. Questa è una situazione che può sopraffare un medico di famiglia, specialmente perché le metastasi crescevano tra lo sfintere artificiale artificiale e la parete addominale e bisognava assicurarsi che il cancro non facesse breccia.
Tutti noi nutriamo un principio di speranza. Non si può comunicare una supposta verità in modo così dirompente fin dall’inizio, quando non si sa nemmeno quando o come potrebbe accadere. Perciò, lasciamo che il principio di speranza ci accompagni sempre, senza mentire al paziente. Lo si informa con sincerità delle possibilità che esistono e gli si domanda se è disposto a tentare queste possibilità oppure no. Arriva per tutti i pazienti un momento in cui esprimono il desiderio di morire. La loro domanda è: «Dottore, in caso dovessi stare molto male, non avrebbe un'iniezione che mi permetta di lasciare velocemente questa terra?». Anche in caso ce l’avessimo, è importante dire: «No, non siamo uno squadrone della morte, siamo qui per trattare adeguatamente i suoi numerosi sintomi e risparmiarle il dolore. In caso gli effetti collaterali dei farmaci la portino ad andarsene prima, va bene». Non siamo noi medici a decidere il momento, bensì il paziente con il suo stato di salute generale.
No, non la voglio. Bisogna incoraggiare i medici ad assumersi maggiori responsabilità in quest'ultima fase della vita dei pazienti. Non c’è bisogno che questo venga regolato dalla legge. Perché in ogni legge c’è un vuoto giuridico, un margine di manovra personale che il medico deve riempire con la sua competenza.
Dal 2015 esiste una nuova legge sulle cure palliative e l'hospice, in base alla quale ogni cittadino ha il diritto di ricevere una buona assistenza nel periodo di fine vita. Nel paragrafo 132d si obbligano il medico e gli infermieri ad avere una formazione aggiuntiva in cure palliative. Ma c’è bisogno che questo venga anche remunerato adeguatamente. Il nostro è un lavoro complesso e non può essere ridotto a singole prestazioni. Non è possibile ragionare in questo modo: sono stato lì per 15 minuti, ho fatto un viaggio di 15 minuti per arrivarci, ho somministrato tale farmaco, e tutto questo è suddiviso per servizio. È necessario che venga pagata una somma forfettaria, poiché certe volte ho bisogno di parlare a lungo col paziente, altre volte meno, certe volte devo rimanere molto tempo per aspettare e controllare l'effetto dei miei farmaci, altre volte, invece, posso delegare l'assistenza a un parente. Le assicurazioni sanitarie vorrebbero avere un conteggio dei singoli servizi, ma poi va a finire come negli ospedali (contesto che conoscono molto bene) dove siamo solo occupati a compilare documenti e non abbiamo più il tempo di tenere la mano al paziente, di ascoltare le sue esigenze, di essere davvero presenti per lui. Le assicurazioni sanitarie devono concederci questo tempo con una somma forfettaria, invece di non fidarsi di noi medici e pensare che vogliamo arricchirci. Non siamo lì per i soldi, e non hanno il diritto di continuare ad abbassare i tassi forfettari. Le cure palliative ambulatoriali vicino casa sono un grande valore, i pazienti e i parenti desiderano usufruirne e secondo la legge ne hanno diritto. Il 75% dei nostri pazienti può morire a casa con le proprie famiglie.
La medicina palliativa si è sviluppata molto intensamente negli ultimi anni, sono state adottate nuove linee guida, adesso si posa su una base scientifica, più consistente. In questo modo è stato fatto tanto anche per gli studenti, la medicina palliativa è diventata una disciplina. E gli aspetti della medicina palliativa sono stati inclusi nei programmi di formazione e aggiornamento di ogni disciplina. Anche se gli aspetti psicologici svolgono un ruolo importante nell'assistenza a un malato terminale, la situazione è un po' diversa in ginecologia rispetto all'urologia. Oggi i primari e direttori di specialità dovrebbero cambiare prospettiva, anche nell’insegnamento e nella formazione è necessario spiegare come il medico dovrebbe comportarsi quando la malattia non è più curabile. La morte fa parte della vita, tutti dovremo morire di qualche malattia. Si tratta di un processo naturale, e ogni medico che si senta in dovere di curare il paziente dovrebbe allo stesso modo saper riconoscere il momento in cui la guarigione non è più l’obiettivo principale. Questo cambiamento di obiettivo terapeutico deve essere discusso precocemente con il paziente e deve essere condiviso con lui.
Quando un paziente è affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva, succede a un certo punto che il medico si trovi ad affrontare una situazione in cui la dispnea è così elevata che solo la sedazione può aiutare contro le crisi respiratorie. E non può essere che lo pneumologo si occupi di questi pazienti solo finché sono ancora facili da curare e sono ancora in grado di respirare bene. Quando la situazione peggiora, non può dire “ora vada a casa, le manderemo uno specialista in cure palliative che le spiegherà tutto”. Questa fase deve essere affrontata nei vari reparti dai vari specialisti.
Bisogna davvero prendersi il tempo che serve. Non si tratta di tempo che si può sottrarre al proprio orario di lavoro quotidiano. Anche i medici ospedalieri devono recarsi dal paziente dopo il turno di lavoro per discutere di queste situazioni speciali. È l’empatia che mi sprona a farlo e che mi porta a prendermi il tempo necessario. Anch’io ricevo molto dal mio lavoro, ci sono pazienti molto riconoscenti che capiscono bene che si tratta di un servizio speciale. Quando guardo indietro e vedo il lavoro che ho svolto e quanto mi impegnassi già quando ero primario, posso dire che si va anche il sabato e la domenica. Di tanto in tanto, è necessario fare qualche telefonata in più. È successo anche che, mentre ero in sala operatoria, un infermiere mi chiamasse e mi chiedesse: «Dottore, cosa devo fare?». Così, io resto, c’è bisogno di tanti medici e non pochi specialisti, perché ognuno può occuparsi di due, tre, massimo quattro pazienti. Si va da loro tra le due e le quattro volte a settimana per vedere se tutto va come dovrebbe. E anche in questo caso si impara molto, si hanno conversazioni molto intense con il paziente e si riesce a capire esattamente cosa è davvero importante per lui o lei in questo momento. Se è opportuno somministrare dei farmaci o se è meglio incaricare un fisioterapista che pratichi un massaggio linfodrenante per alleviare la loro grande sofferenza.
Sì, aveva un cancro al seno. Anche lei ha potuto salutare i figli e i nipoti e morire a casa. Ovviamente è stato molto difficile per me. Ora mi sto concentrando su un compito che voglio ancora portare a termine: voglio creare un centro hospice per bambini qui nel nostro circondario. Non è ancora chiaro come sarà organizzato. Non abbiamo ancora deciso se i bambini saranno accolti per periodi più lunghi o solo su base giornaliera, in modo tale da alleggerire le famiglie interessate. Ma credo che ci sia bisogno di una struttura del genere da queste parti.